Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo l’intervento di Marco Carrai pubblicati sui quotidiano Italia Oggi ed Mf/Milano Finanza diretti da Pierluigi Magnaschi
In questi ultimi anni si è molto parlato, a proposito del non più sostenibile debito pubblico italiano che affossa la crescita del Paese, del fatto che l’Italia riesca a non cadere nella spirale negativa che ha coinvolto altri paesi del cosiddetto Pigs, grazie all’enorme ricchezza pubblica e privata che ne fa, ancora oggi, uno degli stati patrimonialmente più ricchi. Il mondo delle imprese ci insegna però che ci sono due modi per fare default.
Il primo consiste nel non avere più la capacità finanziaria per sostenere i propri debiti; quindi per cassa. Il secondo, per deficienza patrimoniale. Estrarre valore dal patrimonio immobilizzato è quindi una delle più importanti ricette per far sì che si possano ridurre i debiti cash creando i flussi di cassa necessari a far fronte ai propri obblighi contratti con terzi negli anni. La storia economica ci insegna che grandi patrimoni sono stati svenduti nell’incapacità di estrarre da essi valore per far fronte ai debiti accumulati per vivere al di sopra delle possibilità o per esigenze improvvise quali guerre o repentini mutamenti sociali.
Se è dunque vero che l’Italia a livello di patrimonio pubblico e privato (in questo caso ci occupiamo di quello pubblico) esprime ancora tanta ricchezza, la cosa da fare velocemente e con fantasia finanziaria (che produce problemi quali i derivati che hanno affossato i bilanci comunali solo se utilizzata da apprendisti improvvisati stregoni) è quella di costituire un Fondo Patrimonio Italia dove conferire gli asset morti dello stato per estrarne valore. L’immenso patrimonio immobiliare pubblico infatti a oggi si può considerare dal punto di vista reddituale patrimonio morto. Se facciamo solo un calcolo di mq per dipendente, ne verrebbe fuori un parametro che nessuno stato efficiente si può permettere. Per non parlare poi del patrimonio spesso in capo agli enti locali o alle forze armate non utilizzato e non a reddito.
Creare questo fondo, legiferare a monte per valorizzarlo andando a rimuovere gli ostacoli burocratici che ne impediscono la valorizzazione e, con la contingenza finanziaria che oggi (ma non si sa per quanto ancora) sta spostando enormi masse di denaro dagli emerging market all’Europa, allocarne una parte a investitori istituzionali, fondi sovrani ma anche (visto la naturale propensione a investire in immobili degli italiani e con i dovuti benefici fiscali) al cosiddetto Bot people, permetterebbe di abbattere di circa 2-300 miliardi il debito pubblico dello stato.
Un grande storico economico, Carlo Maria Cipolla, diceva che “in effetti, una volta impostata bene la problematica, è fatale che la risposta approssimata od esatta finisca con l’essere trovata”. Quello che non ci possiamo permettere è di perdere troppo tempo nel trovarla quando l’abbiamo da decenni nel nostro patrimonio inutilizzato. La differenza tra svendere e valorizzare sta in tre parole: efficienza, fantasia e volontà.