Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani apparsa su Italia Oggi
I giornaloni non hanno dedicato neppure una riga a una notizia ben più importante della bocciatura europea di Federica Mogherini. Mi riferisco al vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che martedì 16 luglio si è svolto a Fortaleza (Brasile), ed ha assunto una decisione storica, destinata a rivoluzionare la governance economica mondiale. Definire storica la decisione presa a Fortaleza non credo sia esagerato, poiché avrà conseguenze paragonabili soltanto all’Accordo di Bretton Woods (1944), che poco prima della fine della seconda guerra mondiale disegnò il nuovo ordinamento monetario internazionale, centrato sulla supremazia del dollaro, e su due istituzioni fortemente influenzate dagli Stati Uniti, quali sono il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale.
Da anni i Paesi Brics, che insieme hanno una popolazione di quasi 3 miliardi e un pil in continua crescita, premevano per una nuova Bretton Woods, al fine di avere un peso maggiore nella governance mondiale e porre un argine alla supremazia di un dollaro sempre più instabile, e perciò sempre meno affidabile come moneta di riserva e per gli scambi commerciali. Le rivendicazioni dei Paesi Brics sono state bene illustrate dall’economista Paolo Savona in un saggio di qualche anno fa (“Il ritorno dello Stato padrone. I fondi sovrani e il grande negoziato globale”; Rubbettino), che ora si sta rivelando profetico.
Benché consapevoli che la loro leadership mondiale fosse declinante, gli Stati Uniti di Barack Obama hanno fatto finora orecchio da mercante di fronte a tutte le richieste di una nuova Bretton Woods, ignorando i suggerimenti degli economisti più attenti e quasi irridendo la pretesa dei Paesi emergenti di contare di più. Ai governi che hanno provato a sollevare il problema dell’instabilità del dollaro, ricorda Savona, il Tesoro Usa ha sempre risposto con uno slogan a dir poco arrogante: “Il dollaro è la nostra moneta, ma un vostro problema”. Non minore fortuna hanno avuto le richieste di avere un peso maggiore nelle istituzioni monetarie mondiali. La Cina, per esempio, ha una quota di voto nel Fmi del 4,86%, circa un quarto di quella Usa (16,77%), benché le due economie ormai si equivalgano. Non solo. La quota di voto della Cina è inferiore a quella della Germania (5,88%), e di poco superiore a quella dell’Italia (3,66%). Gli altri Paesi Brics sono ancora più sottovalutati della Cina nel Fmi: la Russia ha il 3,16%, il Brasile il 2,34%, l’India l’1,88%, il Sudafrica lo 0,54%.
Stanchi di essere sotto-rappresentati, dopo anni di trattative deludenti, i paesi Brics hanno deciso di prendere le distanze dal Fmi e dalla Banca Mondiale con un atto formale, che segna l’inizio di un nuovo ordinamento mondiale. Tale atto è la costituzione della Banca Brics, articolata nella New Development Bank (NDB) e in un Fondo di riserva monetario denominato Accordo sui Fondi di Riserva (Contingent Reserve Arrangement, CRA). Il capitale della Banca Brics sarà di 50 miliardi di dollari, finanziato in parti eguali dai cinque Paesi fondatori. Avrà la sede a Shangai (Cina), il primo presidente del Consiglio dei governatori sarà russo, il primo presidente del Consiglio di amministrazione sarà brasiliano, mentre toccherà a un indiano il ruolo di primo presidente della Banca, e il Sudafrica avrà una sede regionale sul proprio territorio. Quanto al Fondo di riserva monetaria, avrà un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, di cui 41 versati dalla Cina, 5 dal Sudafrica, mentre Russia, India e Brasile ne verseranno 18 ciascuno. La Banca sarà operativa a partire dal prossimo anno. Quanto al dollaro, per ora moneta principe anche della nuova Banca Brics, sarà gradualmente sostituito con altre valute negli interventi che di volta in volta saranno messi in campo per aiutare i Paesi con problemi di liquidità.
Il leader russo Vladimir Putin, che ha partecipato al vertice di Fortaleza, non ha mancato di sottolineare l’evento in chiave politica: “L’istituzione della Banca per lo sviluppo dei Paesi Brics permette ai suoi soci di essere più indipendenti dalla politica finanziaria dei Paesi occidentali. E fa parte di un sistema di misure che potrebbe aiutare a prevenire le pressioni sui Paesi che non sono d’accordo con alcune decisioni di politica estera degli Stati Uniti e dei loro alleati”. Chiunque, perfino la Mogherini, può capire il duplice significato del messaggio di Putin: la Banca Brics rappresenta non solo di una rottura della governance monetaria creata 70 anni fa a Bretton Woods, ma è anche una risposta alle sanzioni economiche che gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno imposto alla Russia, a seguito delle vicende in Ucraina. Putin uno, Obama zero.
La nuova Banca (la cui prima idea si deve all’India) sarà aperta all’adesione di altri Paesi delle Nazioni Unite, ma la quota dei Paesi Brics non potrà scendere sotto il 55%. Lo scopo della nuova istituzione, recita il comunicato ufficiale, “è di rafforzare, sulla base di sani principi bancari, la cooperazione tra i Paesi Brics, integrare gli sforzi delle istituzioni finanziarie multilaterali e regionali per lo sviluppo globale, contribuendo a conseguire l’obiettivo di una crescita forte, sostenibile ed equilibrata”. Di fatto, è la nascita di una nuova Banca mondiale, dotata di ampie riserve, che si pone come alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, e crea le premesse di una nuova architettura finanziaria globale, dove gli Stati Uniti non potranno più fare il bello e il cattivo tempo. Un evento epocale, che è sui siti di tutto il mondo, tranne che sui giornaloni di casa nostra, tutti presi dalle sorti europee della Mogherini e dalla prima sonora sconfitta di Matteo Renzi. In fondo, una conferma: servilismo e sconfitte vanno sempre a braccetto.