L’organizzazione Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) è un movimento jihadista post-moderno. Le azioni che compiono non hanno a che vedere soltanto con armi, esplosivi e missili. Coinvolgono anche raffinate tecniche di comunicazione e propaganda di immagine.
Riccardo Redaelli, professore di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia all’Università Cattolica di Milano, chiama questo fenomeno “il franchising del terrore”. “Parlando dei loro successi, i militanti dell’Isis si riferiscono non solo al potere che hanno ma cercano di conquistare militanti in tutto il mondo”, ha spiegato in un’intervista di Formiche.net.
A novembre del 2003, il giornalista turco Siegmund Ginzberg ha pubblicato sull’Unità un articolo nel quale sosteneva che Al Qaeda fosse come McDonald’s: “Una gigantesca operazione di franchising mondiale del terrorismo suicida. In cui domina il marchio principale, quello che si è fatto la nomea con l’11 settembre, ma ciascuno dei ‘concessionari’ ormai opera in proprio. Aprendo nuove succursali ovunque se ne presenti l’opportunità. Col moltiplicarsi degli attentati si moltiplicano sigle, rivendicazioni, motivazioni, obiettivi, bersagli. Riescono persino a dare l’impressione di una perfetta sincronizzazione”. Stessa strategia che ora mette in atto Isis.
Leminacce di un attentato in Europa, annunciate in video settimane fa, non devono essere sovrastimate. Le capacità delle strutture dell’Isis non possono essere confrontate a quelle degli Stati europei, ma non si possono neanche sottovalutare. I jihadisti hanno bisogno di visibilità.
Redaelli sostiene che i terroristi “puntano su cani sciolti che potrebbero compiere azioni terroristiche e immolarsi nel nome dell’Isis. Chi combatte l’organizzazione teme che chi torna in Europa possa ricreare, con l’esperienza acquisita, cellule similari in territorio europeo”.