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Eni ed Enel, Vendi-Italia o Svendi-Italia?

Erano dunque davvero sibilline le parole di Mario Draghi a Jackson Hole? L’interrogativo, nonostante l’effetto palliativo che il discorso del presidente della Bce ha avuto sui tassi, non era del tutto peregrino su Draghi buonista per il Quantitative Easing (acquisto di titoli in stile Fed) e e flessibile sul rigore nei conti pubblici. Draghi è stato frainteso, ha sentenziato il superministro tedesco dell’Economia, Schauble. Vedremo, sta di fatto che l’accordo (vero o verosimile) fra il presidente della Bce e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è considerato dall’economista Leonardo Becchetti intervistato da Formiche.net come un salto nel vuoto. Ecco perché.

Meno sibilline sono state le parole, anzi le indicazioni, che ieri sono arrivate dal ministero dell’Economia retto da Piercarlo Padoan, sulle privatizzazioni. Forse per rispondere a un articolo del Financial Times che ieri dubitava sulla realizzazione del piano di dismissioni di quote azionarie detenute dal Tesoro (circa 10 miliardi di euro l’anno) visto l’esito della quotazione di Fincantieri e lo slittamento della vendita del 40% di Poste Italiane, forse per rassicurare i mercati sbuffanti sulle intenzioni liberiste del governo, ecco che ieri da una riunione al dicastero di via Venti Settembre è giunta una notizia: il Tesoro è pronto a vendere entro l’anno quote di Eni ed Enel.

La vendita delle quote secondo Repubblica avverrà fra “la seconda metà di settembre e fine novembre”, mentre il Sole 24 Ore dice che le “quote dovrebbero arrivare sul mercato tra la fine di ottobre e gli inizi di dicembre”. Tempistica a parte, la sostanza è chiara: il governo Renzi, tramite il Tesoro, venderà sia il 5% di Enel sia circa (il 4,3%) di Eni. L’incasso stimato è di circa 5 miliardi di euro: 2-2,5 miliardi per Enel e circa 3 miliardi per la fetta del Cane a sei zampe.

Scrive Federico Fubini di Repubblica: “Si punta a partire con ciò che resta dei gioielli della Corona, Eni ed Enel, senza reti di sicurezza intrecciate grazie all’arte dell’ingegneria finanziaria pur di mantenere il controllo legale delle due società”. Infatti “oggi il governo detiene in modo diretto o indiretto appena più del 30%, la quota che permette in linea di diritto di controllare l’assemblea degli azionisti”. La sfida d’ora in poi per lo Stato – conclude Fubini – sarà quella di “continuare a esercitare il controllo di fatto anche senza vincolo legale nell’assemblea degli azionisti”.

Perché vendere, dunque? Perché in sostanza bisogna rispettare gli impegni assunti con Bruxelles e con i mercati di incassare circa 10 miliardi e passa all’anno dalla dismissione di quote azionarie di società controllate dal Tesoro e così facendo si lima lo stock del debito pubblico. Ma per intaccare davvero il moloch del debito pubblico più che vendite (o svendite, visti gli attuali corsi di Borsa) più che dismissioni a spizzichi e bocconi, forse servirebbero operazioni ad hoc come il Taglia-debito lanciato dai quotidiani del gruppo Class Editori (qui l’ultima analisi di Guido Salerno Aletta sul tema) o come il Fondo-Italia proposto dal renziano Marco Carrai (qui le sue idee).

Ma evidentemente la china è ormai chiara e seguita da ogni governo dalle più varie e cangianti coalizioni: prima si scorporano le reti energetiche per renderle indipendenti e terze, poi le stesse reti (Snam e Terna) avranno come socio forte il colosso cinese State Grid (che ha rilevato il 35% di Cdp Reti), quindi lo Stato si appresta a scendere sotto il 30% pure in Eni ed Enel. Ma il controllo resterà italiano? Chissà. Il Corriere della Sera non è preoccupato.

Eppure interrogativi, rilievi, perplessità e dubbi iniziano a circolare tra gli addetti ai lavori, e non solo tra chi professa un ruolo pervasivo dello Stato nell’economia: basta ascoltare a taccuini chiusi qualche consigliere di amministrazione delle aziende menzionate; qualche analista ed esperto di quelli intervistati da Formiche.net nell’ambito degli approfondimenti sul futuro di Snam e Terna dopo l’arrivo del colosso cinese di Stato; considerare le ombre cinesi sulle reti europee descritti ieri dal quotidiano Repubblica in un articolo di Luca Pagni; e leggere un commento poco trionfalistico per le intenzioni privatizzatrici del governo come quello del Sole 24 Ore (non del Manifesto). Oggi il vicedirettore del Sole, Fabrizio Forquet, in un articolo titolato in prima pagina “Le opportunità, i rischi”, auspica un “mix di prudenza e di andare avanti” “perché le aspettative non siano troppo alte”. Conclusione del Sole 24 Ore: “Valorizzare prima di dismettere non è solo una regola aurea, è una necessità operativa. Pena il fallimento”.



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