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Complimenti a Tusk e Mogherini, ma solo Merkel può salvarci dalla deflazione

La “politica del sedere” (vedere Formiche.net del 17 agosto) fa sempre notizia, ma noi che siamo, in spirito, molto più giovani di Matteo Renzi, siamo meno interessati a chi posa il fondoschiena dove e più a come l’Europa potrà uscire dalla deflazione e chi potrà pilotarla verso acque migliori. La storia non si ripete, ma occorre metabolizzarne le lezioni. In passato, la via d’uscita dalla ‘deflazione’ è stata contrassegnata da guerre e da riduzioni delle libertà democratiche.

Ai complimenti d’obbligo a Federica Mogherini e ad Donald Tusk, è doveroso aggiungere che non saranno né loro né i Commissari “economici” ad impedire che la barca, specialmente quella dell’eurozona, riesca e non affondare ed a navigare piano, ma serenamente, in mare aperto.

Non lo sarà neanche la Banca centrale europea (Bce) il cui Consiglio si riunisce il 4 settembre sotto la guida del suo Presidente Mario Draghi. Nonostante la promesse fatte nel giugno 2012 e ribadite pochi giorni fa a Jakson Hole, di mettere in atto “misure non convenzionali”, i differenti punti di vista all’interno dell’organo di governo della Bce e la notoria (piuttosto che nota) prudenza del suo Presidente faranno sì che il quantative easing e le ouright monetary transactions (ove mai adottate) lo saranno tardivamente ed in misura inadeguata.

Inoltre, la storia economica ci insegna pure che la freccia monetaria non basta; per essere efficace deve essere accompagnata da una politica “aggressiva” di bilancio (vincolata dal Fiscal Compact ed in Italia vietata dalla legge “montiana” sul pareggio di bilancio), nonché da politiche ‘strutturali’, nel senso che incidano sulle ‘strutture’ dell’economia e sul loro indicatore più eloquente, i prezzi dei fattori di produzione, nonché delle merci e dei servizi. Con la sua franca brutalità di sempre, Lawrence Summers (ex Segretario al Tesoro Usa, nonché consigliere economico di Obama e, pure, grande frequentatore e conoscitore dell’Italia) dice senza mezzi termini L’Europa corre il rischio di una stagnazione secolare. Se i Governi non mettono in atto misure drastiche – aggiunge – ci sono poche probabilità che nell’eurozona si torni a tassi di crescita sufficientemente sostenuti da portare la disoccupazione a limiti accettabili. Non crede che la Bce prenderà le misure minime necessario – Chi non ha coraggio, non se lo può dare – e considera velleitari i propositi di Palazzo Chigi di porsi alla testa di una politica di crescita per l’eurozona.

Un altro osservatore straniero, grande conoscitore dell’Italia (dove vive diversi mesi l’anno per incarichi universitari e societari, quali il CdA Telecom), Jean Paul Fitoussi, afferma che dobbiamo cambiare l’indirizzo di politica economica (in Europa ed in Italia, ndr) per evitare una situazione potenzialmente preoccupante sotto il profilo politico e sociale ma non si vede chi la farà.

Tutto sommato penso che si debba dare retta al mio vecchio amico Anatole Kaletski (ha dieci anni meno di me, ma ha una visione molto più giovane di quella di Matteo Renzi, le cui continue battute sarebbero – se si deve retta a Italo Svevo – un segno di senilità incipiente): sarà Angela Merkel a tirarci fuori dal pasticcio prima di ritirarsi a vita privata, con il suo amato Johakim, nelle tre stanze vicine alla Staatsoper ad ascoltare musica classica.

Anatole se ne intende. Nato a Mosca, ma con gioventù e scuole in Polonia ed Australia prima di approdare al King’s College di Cambridge e di diventare un noto analista “eterodosso”, ha contatti diretti e frequenti con Angela Merkel. A suo dire, l’asse franco-tedesco si è rinsaldato (e l’Italia ha avuto il seggio ambito ma è tornata a fare da comprimario). Anche se, nelle dichiarazioni ufficiali, Berlino mostra il piglio del rigore, la Germania avrebbe avuto un ruolo non secondario nel pirotecnico rimpasto del Governo francese: il nuovo Ministro dell’Economia, Emanuel Macron (di cultura “atlantica” ove non apertamente americana) ha ottimi rapporti con i colleghi tedeschi e, soprattutto, ha un’idea abbastanza chiara delle riforme ‘strutturali’ da apportare al sistema francese: drastiche revisioni a previdenza e sanità per contenere la spesa pubblica, revisione della normativa sul lavoro per aumentare produttività  e soprattutto abbattimento delle barriere categoriali alla concorrenza. Anche se “scelto per caso” (l’Eliseo avrebbe voluto l’ex Presidente delle Ferrovie ma è stato impossibile raggiungerlo in quanto era in barca a cellulare spento), il 36nne Macron ha le caratteristiche dell’interlocutore-partner ideale di Angela Merkel.

La situazione economica tedesca si sta avviando verso una stagnazione che potrebbe esserne lunga. La Repubblica federale non può uscirne da sola. Tuttavia, il resto dell’eurozona (o almeno dei grandi Paesi dell’area) deve attuare riforme economiche ‘strutturali’. La Spagna lo sta facendo e se ne cominciano a vedere gli esiti. Macron ne potrebbe essere il protagonista in Francia.

Ed in Italia? Si parla da mesi del Jobs Act, ma se non si crea un clima più favorevole nei confronti delle imprese (e’ di venerdì la notizia dell’esodo, verso la Romania, di un’impresa americana di alta tecnologia localizzata nel Mezzogiorno), non si rimuovono i limiti alla concorrenza e non si riduce il fardello del debito pubblico, resteremo al palo. D’altronde – dicono a Bruxelles – avete avuto il seggio che volevate: adesso muovetevi.



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