Dopo l’inaugurazione del 27 agosto del gasdotto Iasi-Ungheni tra Romania e Moldavia, il 2 settembre è stata messa in funzione la centrale di pompaggio reverse flow per il tratto di gasdotto tra Slovacchia e Ucraina, tra le località di Vojany e di Uzhgorod. La stazione consente di invertire il flusso di gas dall’Occidente verso l’Ucraina per circa il 20% del fabbisogno del Paese, e già a settembre è in grado di pompare 22,4 milioni di metri cubi, con il sostegno delle reti vicine di Ungheria e Polonia.
La discussione sull’inversione dei flussi di gas dall’Unione europea verso i due Paesi più esposti al rischio di tagli di forniture da parte della Russia, cioè Moldavia e Ucraina, prosegue ormai da tempo. Per la Moldavia l’inaugurazione d’inizio dei lavori conclusi poi in un solo anno è dell’agosto 2013. Per l’Ucraina ha riguardato inizialmente la questione dei prezzi e poi, dopo Maidan, la sicurezza energetica. Ne parlarono in modo più sostanziale i Capi di stato e di governo nel Consiglio europeo straordinario sull’Ucraina, il 6 marzo 2014, dando seguito al progetto slovacco-ucraino già identificato nel 2013 e mai sottoscritto. La nuova stazione di pompaggio – per la verità – al momento non fa che ripompare in Ucraina del gas russo.
Malgrado tali misure, per i mesi invernali più freddi il governo di Kiev ha già programmato possibili chiusure delle scuole, a fini di risparmio nei consumi, mentre l’escalation della tensione politica e militare tra Unione europea, Nato e Russia sul caso ucraino rafforza i timori di possibili tagli pesanti e generalizzati.
Tuttavia, secondo l’agenzia Reuters, un taglio alle forniture di gas all’Europa occidentale non sarebbe agevole, come avvenne nel 2006 e nel 2009. Oggi Gazprom si trova in condizioni finanziarie più critiche, e il miliardo di dollari perduto allora in mancate forniture non è più così facile da reperire, per una società che si trova a pagare i propri conti con i flussi di cassa in entrata. Comunque, se i conti di Gazprom fossero saldati in altra maniera, interruzioni sostanziali di fornitura incontrerebbero in ogni caso problemi tecnici, mancando uno sbocco alternativo, e considerando che l’apertura verso il mercato cinese è ancora in fase di programmazione.