Quando il giornalista americano Jon Lee Anderson incontrò Faisal Ali Waraabe, un politico del partito Giustizia e benessere in Somalia e candidato alle elezioni presidenziali del prossimo anno, gli chiese di suo figlio. Un ragazzo di 22 anni, di nome Sayid, cresciuto in Finlandia e finito nei tentacoli del gruppo terroristico Isis. Ora Sayid si fa chiamare Abu Shuib, porta un turbante nero e vive a Raqqaa, uno dei bastioni principali dell’Isis in Siria.
I NUOVI VIOLENTI
“Ho chiesto a Faisal che pensava dell’Isis e di quello che fa suo figlio. Tristemente scosse la testa, alzò le mani all’aria in segno di impotenza e disse: loro sono i nuovi barbari”, ha scritto Anderson nell’articolo “The Men Who Killed James Foley” uscito sul New Yorker dopo la pubblicazione del video con la decapitazione di Foley, collega e amico di Anderson. Poche settimane dopo, l’Isis ha diffuso un altro video dell’orrore con la decapitazione del reporter Steven Sotloff.
Una strategia, quella della pubblicizzazione delle capacità di colpire, uccidere e torturare, intimidire e provocare altre violenze, che appartiene non solo all’Isis. Altri gruppi terroristici, come Boko Haram in Africa – anche loro di natura islamica – e l’organizzazione criminale latinoamericana Los Zetas – legata alla ‘Ndrangheta in Italia, sfruttano questa modalità.
LA TRASFORMAZIONE DI BOKO HARAM
Il rapimento di 200 ragazze in Nigeria da parte di Boko Haram è stata una delle azioni abituali dell’organizzazione terroristica. Le fotografie delle sequestrate e il video in cui il leader Abubakar Shekau si vanta dell’azione hanno fatto il giro del mondo. In lingua hausa Boko Haram significa “proibita l’istruzione occidentale”. L’organizzazione è stata fondata nel 2002 e fino a quel momento aveva il sostegno dei più bisognosi nella regione nord della Nigeria. Inizialmente il fondatore, Mohamed Yusuf, aveva pensato ad un movimento islamico ultraconservatore, d’opposizione al voto elettorale e alle “infiltrazioni” occidentali, ma il gruppo è diventato sempre più politico fino al 2009, quando sono cominciate le operazioni militari per creare uno Stato islamico. Nonostante la posizione violenta contro il governo, Boko Haram evitava di fare vittime civili. Quando a inizio del 2014 è morto il leader Yusuf la strategia è cambiata e Boko Haram è diventato sempre più violento. Colpire i civili sembra oggi il loro principale obiettivo.
L’ORRORE DE LOS ZETAS
Molto diversa è la natura dell’organizzazione Los Zetas, ma stesso l’orrore con cui opera. Nonostante a convincere i ragazzi a diventare parte di uno dei cartelli della droga più potenti al mondo non sia la fede in un dio, ma la sicurezza economica, l’arruolamento avviene molto spesso su internet, come accade con l’Isis e Boko Haram. La strategia di immagine è molto simile. Corpi trucidati, decapitati, appesi nelle piazze dei centri abitati messicani per far capire gli nemici e autorità fin dove può arrivare la loro capacità. Su Los Zetas Anderson aveva scritto che si tratta di “una banda psico-assassina di narcotrafficanti che cercano di superare in cattiveria i nemici, intimidendo, facendoli diventare deboli, e mostrandosi come creature del male”.
INTERNET COME ARMA DEL TERRORE
La pubblicazione e diffusione su internet dei crimini e delle operazioni violente è una delle armi più potenti su cui contano le organizzazioni terroristiche oggi. Come ha avvertito il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nell’introduzione del rapporto “L’uso di internet per fini terroristici” dell’Ufficio contro la droga e il delitto delle Nazioni Unite (Onudd), “internet è un eccellente esempio di come i terroristi possono agire in maniera transnazionale. Per questo, gli Stati devono muoversi in maniera ugualmente transnazionale”.
FRANCHISING DEL TERRORE
Come aveva spiegato a Formiche.net il professore di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia all’Università Cattolica di Milano, Riccardo Redaelli, siamo di fronte ad un franchising del terrore. Le azioni che compiono questi gruppi non si riferiscono soltanto ad armi, esplosivi e missili. Coinvolgono raffinate tecniche di comunicazione e propaganda di immagine. “Parlando dei loro successi, i militanti si riferiscono non solo al potere che hanno, ma cercano di conquistare militanti in tutto il mondo”, ha spiegato. “I terroristi puntano su cani sciolti che potrebbero compiere azioni terroristiche e immolarsi nel nome dell’Isis”, secondo Redaelli. “Chi combatte l’organizzazione teme che chi torna in Europa possa ricreare, con l’esperienza acquisita, cellule similari in territorio europeo”.
LA GUERRA SANTA
Pensiero condiviso dallo scrittore spagnolo Arturo Pérez Reverte, che ha insistito in un articolo pubblicato sul Mundo che la Jihad sia la guerra santa: “Lo sa chi cerca su internet video e fotografie delle esecuzioni, delle teste tagliate, dei bambini che mostrano sorridenti i cadaveri infedeli all’Islam, le donne lapidate… di criminali che tagliano colli mentre urlano ‘Alá Ajbar’ con decine di spettatori che registrano con gli smartphone. Lo sa che chi legge un cartello di un bambino musulmano – non in Iraq ma in Australia – con scritto: Decapitate chi insulti il profeta”. Lo sa chi vede un manifesto sostenuto da uno studente islamico – non a Damasco, ma a Londra – dove avverte: “Useremo la vostra democrazia per distruggere la vostra democrazia”.
Per Pérez Reverte “godiamo i vantaggi di una lotta vinta dopo molti combattimenti contro i fanatismi, nella quale molta gente buona ha perso la vita: combattimenti di un Occidente giovane e con fede. Oggi i giovani sono altri: il bambino con il cartello, il boia del decapitato, il fanatico disposto ad uccidere 30 infedeli e andare in paradiso. In termini storici, sono loro i nuovi barbari”.
DIALOGARE È SUICIDA
Lo scrittore ricorda la conversazione con un suo amico soldato a Melilla, alle porte dell’Africa: “Non se ne rendono conto. È una guerra e ci siamo dentro. È la terza guerra mondiale e non si rendono conto. È una guerra e la stiamo perdendo per la nostra stupidaggine. Sorridendo al nemico”. Per lo scrittore basta vedere internet per capire che non c’è nulla da discutere. Il mondo combatte una guerra contro i nuovi barbari, “non solo dall’altra parte della tv ma nel cuore dell’Europa. Credere che ci sia soluzione con il dialogo o guardando da un’altra parte è molto più di un’idiozia. È un suicidio”.