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C’è da fidarsi di Juncker, Merkel e Draghi?

No, non contrapponiamo popoli e Palazzi, specie quando sono democraticamente seppure indirettamente eletti.

Ma quello che succede nelle urne, nelle capitali e nelle istituzioni deve far riflettere.

Nelle urne, quasi ovunque in Europa, sono cresciuti i movimenti anti euro e/o anti austerità. La disoccupazione che sale e il Pil che scende non potevano non produrre effetti elettorali. I governi, specie quelli della periferia dell’Europa, ma non solo loro, devono conciliare risorse sempre meno corpose con l’aspirazione allo sviluppo e all’occupazione.

In Italia c’è stato addirittura il governatore della Banca d’Italia che, rottamando qualche dogma di troppo su rigorismo liberista come premessa indispensabile per la crescita, ha indicato priorità e prospettive non proprio collimanti con quanto si ascolta a Berlino, a Bruxelles e a Francoforte. L’intervista di Ignazio Visco a Repubblica avrebbe meritato approfondimenti e commenti che invece si sprecano su altri temi. Peccato.

Eppure scricchiolii nell’intellighenzia che in un recente passato professava tagli draconiani alla spesa pubblica, scetticismo o contrarietà sulle politiche economiche espansive e dubbi sulla bontà degli investimenti infrastrutturali – per raggiungere la meta del perfetto pareggio di bilancio come architrave della libertà individuale e collettiva – si avvertono sempre più. Ora i Francesco Giavazzi discettano anche in tv della necessità di spingere la domanda, i Luigi Zingales dubitano della costruzione monetaria europea e i Guido Tabellini invitano la Bce a non essere più tanto atarassica nel fare l’amerikana, o l’inglese, o la giapponese.

Per non parlare dei 16 intellettuali che tra silenzi, dinieghi e perplessità di partiti, movimenti e accademici, si sono messi di buzzo buono a raccogliere le firme per referendum abrogativi di legge nazionali improntate all’austerità. Certo non mancano i dubbi giuridici sulla fattibilità delle consultazioni, visto che la Costituzione vieta referendum sui trattati e accordi come il Fiscal Compact (nel mirino di fatto da parte del comitato promotore), ma ci sono giuristi che ne sostengono la fattibilità.

(CHI C’ERA ALLA MANIFESTAZIONE ANTI FISCAL COMPACT. LE FOTO DI PIZZI)

Ma queste idee, queste richieste e queste attese – che non solcano solo l’Italia, anzi – sembrano non penetrare nei palazzi delle istituzioni europee.

Beninteso, anche se pure oggi è giunta dalla Bce la solita e frusta raccomandazione (l’Italia consolidi i conti, target deficit a rischio), dall’Istituto centrale di Francoforte il presidente Mario Draghi sta facendo il possibile  – nelle condizioni date e visti i rigoristi non solo teutonici ai vertici della Bce – per allentare sempre più la linea flemmatica e dunque mortifera della politica monetaria con effetti positivi ad esempio su tassi ed euro. Resta da vedere se le ultime mosse annunciate da Draghi siano le ultime o le penultime.

E che dire della nuova Commissione europea? Politicamente, come scritto su Formiche.net da Manuela Conte, la composizione può soddisfare i Popolari per il peso che hanno con il nuovo governo europeo presieduto da Jean-Claude Juncker nonostante il calo dei consensi elettorali. Economicamente, anche se oggi i quotidiani tedeschi mugugnano per il francese Pierre Moscovici agli Affari economico-finanziari, altri rimarcano il ruolo come braccio destro di Juncker dell’attuale ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans. Per non parlare della neonata figura del vicepresidente senza portafoglio per l’ex premier finlandese Jyrki Katainen, il più falco tra i falchi, che coordinerà il gruppo di lavoro sull’economia.

Conclusione? Ci affidiamo ad Adriana Cerretelli, esperta di cose europee del Sole 24 Ore: “Con questa formazione ai nastri di partenza e i socialisti in posti meno influenti o sotto tutela, tutto lascia pensare che i prossimi cinque anni non vedranno svolte epocali nelle politiche attuali di riforme e rigore, né massicci investimenti europei per carburare la crescita. Con buona pace del piano Juncker da 300 miliardi in tre anni. Nonostante i morsi di recessione e deflazione”.


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