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Tutti i veri effetti dell’Unione bancaria europea

Assieme a disordini e disorientamenti nelle politiche monetarie, la crisi ha portato una novità positiva nel central banking mondiale. È ora fuori discussione che la stabilità finanziaria è un obiettivo non solo delle banche centrali in generale ma delle stesse politiche monetarie, intese in senso stretto. Perché sebbene sia sempre stato vero che le banche centrali hanno anche un obiettivo – almeno implicito – di stabilità finanziaria, la consapevolezza della questione è oggi più profonda e diversa. E negli ultimi tre o quattro anni questa consapevolezza è andata crescendo sempre di più, tanto da fare capolino anche nella letteratura teorica di politica monetaria.

C’è di più: mentre tre o quattro anni fa si esitava a prendere in considerazione la possibilità di affidare alla banca centrale le politiche micro-prudenziali, cioè la vigilanza vera e propria, banca per banca, ora tale esitazione sta scomparendo sia nella pratica sia nella teoria. Questo è vero in particolare nell’Unione europea, dove sta per realizzarsi la cosiddetta “unione bancaria”, che affida tutti i poteri rilevanti di vigilanza bancaria alla Bce. Una rivoluzione che non potrà non influenzare l’equilibrio e le relazioni fra le politiche monetaria e di vigilanza. Se ben gestita, l’unione bancaria potrebbe essere decisiva per esercitare un maggiore controllo sul comportamento del sistema bancario europeo, ridurne i nervosismi e le segmentazioni che vi fanno ristagnare liquidità e producono improvvisi mutamenti della propensione al rischio delle banche, favorendo la stabilità finanziaria e regolarizzando i tempi e i modi per una trasmissione più pronta, omogenea ed efficace della politica monetaria da Francoforte all’intera eurozona.

Con banche regolamentate e vigilate da autorità centrali europee sarà anche più facile immaginare e realizzare una sorta di “politica industriale” del settore bancario dell’Unione, incentivando un aumento della concorrenza, favorendo un processo di aggregazione che riduca il numero delle banche di dimensioni inadeguate e, al contrario, disincentivi la crescita di banche “troppo grandi per esser lasciate fallire”, favorendo un’evoluzione dei modelli di governo societario e di business bancari che li renda più trasparenti, corretti, solidi e competitivi anche sullo scenario mondiale. Inoltre, le autorità centrali europee avranno la possibilità di accedere alle informazioni sulla gestione di tutte le banche, di disaggregare o aggregare i relativi dati nei modi che ritengono più opportuni, di dedurne i provvedimenti necessari a farle funzionare in modi efficienti e sicuri. Avranno anche modo di seguire passo passo il fluire della liquidità che immettono dal centro, attraverso le banche, verso l’economia di tutta l’eurozona.

Intendiamoci: tutto ciò non avverrà di colpo, quando alla fine del 2014 l’unione bancaria entrerà ufficialmente in vigore. Ma è lecito attendersi che l’unificazione procederà con regolarità, seppur gradualmente, fino a completarsi in alcuni anni. E il completamento dell’unione monetaria con quella bancaria sarà di stimolo per accelerare quella economica generale, quella fiscale e quella politica. Quando si giunge a mettere in comune i “segreti dei banchieri” e si decide di disciplinarli con autorità comuni e accentrate, si è fatto un passo sostanziale verso l’abbattimento delle protezioni e delle gelosie nazionalistiche di ogni tipo. Sarà politicamente più facile, per esempio, l’armonizzazione di alcune imposte e di alcune spese pubbliche, nonché l’emissione di titoli del debito pubblico europei, cioè di forme varie dei cosiddetti «eurobond».
Il passo politico fatto con la vigilanza bancaria è un attraversamento del Rubicone, un proclamare che alea iacta est verso progressi decisivi dell’integrazione europea. Un’Europa senza l’unione bancaria è un corpo dove il sangue non ha una canalizzazione organica e integrata che possa nutrirlo nel suo insieme e mantenerlo integro e in buona salute. Con l’unione bancaria, oltre a quella monetaria, sarà invece più facile riconoscere che il corpo è un tutt’uno, che se si ammala una sua parte ne soffre tutto il resto.

Articolo tratto da Via Sarfatti 25 dell’Università Bocconi di Milano



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