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Tutte le conseguenze del referendum sull’indipendenza della Scozia

L’esito del referendum di domani sull’indipendenza della Scozia potrebbe sconvolgere l’agenda dell’Ue dei prossimi mesi e anni ed appesantire di colpo quella della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Unione.

Si entrerebbe su un terreno giuridico e procedurale inesplorato, senza contare che l’indipendenza della Scozia darebbe una forte spinta ai movimenti indipendentisti in altri Stati Ue ed esalterebbe la legittimità delle rivendicazioni della Catalunya, che il 9 novembre terrà un referendum sull’indipendenza non autorizzato dal governo spagnolo.

Per contro, la vittoria dei sì potrebbe pure pesare sull’eventuale referendum britannico, previsto entro il 2017, per confermare, o meno, l’adesione all’Unione.

ALCUNI DATI

Gli ultimi sondaggi della stampa britannica danno i no all’indipendenza in risalita e in vantaggio sui sì (52% a 48%), senza però tenere conto della fetta d’elettori indecisi –almeno il 10%-, le cui schede saranno quindi determinanti. L’attesa è di una partecipazione record: il fronte del sì mette in campo un esercito di volontari per smuovere gli incerti.

Nella campagna elettorale alle ultime battute, l’Ue è stata estremamente discreta, diversamente dagli Stati Uniti: la Casa Bianca ha esplicitamente detto di preferire una Gran Bretagna unita, cioè un alleato forte.

GLI EFFETTI PER L’UE

Per l’Unione europea, la vittoria del sì sarebbe una iattura, se non altro per gli inediti problemi procedurali che comporterebbe. Il caso, infatti, sarebbe senza precedenti: la cosa più simile mai avvenuta nella storia dell’integrazione è la decisione della Groenlandia, negli Anni Ottanta, d’uscire dall’allora Comunità europea: la Groenlandia, un territorio della Danimarca, lo decise con un referendum, che ridusse di colpo della metà la superficie della Cee, ma gli abitanti erano appena 50mila circa.

La Groenlandia, però, lasciò la Comunità senza separarsi dalla Danimarca. La Scozia, invece, vorrebbe separarsi dalla Gran Bretagna, ma non lasciare l’Ue.

I leader politici britannici dei tre maggiori partiti giocano, all’unisono, la carta dell’unità promettendo una maggiore autonomia. La regina Elisabetta auspica che gli scozzesi “ci pensino bene”, all’ora del voto. Il premier Cameron li invita a “non fare a pezzi” la famiglia britannica, definisce l’indipendenza “un doloroso divorzio”, ricorda che la grandezza britannica è anche scozzese.

NAZIONALISMO SCOZZESE

Ma la politica sa pure usare argomenti economici concreti, che possono andare diritto al cuore degli scozzesi: il nazionalismo rischia di spezzare il welfare, la sterlina non potrà più essere moneta scozzese, le frontiere non saranno necessariamente aperte. Così che gli indipendentisti parlano d’intimidazione.

Se vinceranno i sì, la Scozia diventerà formalmente indipendente il 24 marzo 2016, anniversario dell’unificazione nel 1707 fra le due corone. Sulla carta, c’è dunque tempo, per mettere a punto gli aspetti istituzionali, economici e procedurali.

QUESTIONE ECONOMICA

Economicamente, la Scozia avrebbe il controllo di oltre l’80% del petrolio e del gas del Mare del Nord, ma non beneficerebbe più della redistribuzione del reddito britannico e dovrebbe invece accollarsi una quota del debito complessivo del Regno Unito secondo criteri non ancora definiti, che terranno conto del numero di abitanti e del Pil complessivo.

Finanziariamente, la Scozia potrebbe decidere di adottare l’euro, ma una scelta del genere non sarebbe automatica: per il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il Paese dovrebbe rinegoziare il suo ingresso nell’Unione europea, così come alla Nato e all’Onu. E Londra, in sede Ue, avrebbe un diritto di veto sull’ammissione degli scozzesi.

Il sì avrebbe ripercussioni anche sul resto del Regno Unito. Dal punto di vista economico Londra perderebbero l’accesso agli approvvigionamenti ed agli introiti del gas e del petrolio scozzesi. Dal punto di vista politico i laburisti sarebbero indeboliti, perché storicamente la Scozia è sempre stata più laburista della media britannica: nelle ultime elezioni, su 59 deputati eletti in Scozia, 49 erano laburisti e solo uno conservatore. Nel contempo, però, una vittoria degli indipendentisti intaccherebbe la legittimità del premier conservatore David Cameron, costringendolo verosimilmente a dimettersi.



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