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Tutte le ossessioni di Ciriaco De Mita

Grazie all’attenzione riservatagli da Giovanni Bucchi su Italia Oggi, riferendo di un discorso pronunciato domenica a un raduno dell’Udc a Chianciano Terme, si è potuto scoprire un Ciriaco De Mita insolitamente autocritico, ma a sua insaputa.

All’anziano leader di quella che fu la sinistra democristiana, in gran parte confluita nel Pd con Walter Veltroni nel 2007 dopo l’esperienza della Margherita, non piace naturalmente Matteo Renzi. Troppo giovane e spavaldo, per i suoi gusti. Troppo “torrente”, come lo stesso De Mita volle rappresentarlo alle prime apparizioni dell’allora sindaco di Firenze come protagonista sulla scena politica nazionale. L’ex segretario della Dc preferisce “i fiumi”, al netto dei guai che combinano anch’essi quando esondano.

In particolare, non piace al De Mita ultimo di Chianciano la concezione “proprietaria e personale” che Renzi ha della sinistra. Tanto meno gli piace l’abitudine del segretario del Pd e presidente del Consiglio di “insultare” chi non la pensa come lui. Eppure questa era anche l’abitudine di De Mita quando era leader di corrente e poi segretario della Dc e contemporaneamente, come adesso Renzi, presidente del Consiglio.

Il povero e allora giovane Roberto Formigoni si sentì dare del “cretino” da De Mita per avere osato criticarlo. E Bettino Craxi, che pure guidava un governo di coalizione con la Dc, si prese  dell’”inaffidabile” e “malato” perché non sottomesso all’alleato, come l’allora segretario dello scudo crociato avrebbe voluto, dopo avere dovuto il leader socialista a Palazzo Chigi per il deludente risultato elettorale dello scudo crociato nelle elezioni politiche 1983: le prime affrontate dallo stesso De Mita alla guida del proprio partito.

La pur inconsapevole autocritica dell’ex segretario democristiano per i metodi che Renzi ora in qualche modo gli copia non è comunque l’aspetto più sorprendente del suo discorso a Chianciano. Sorprende ancora di più la linea che egli ha proposto all’Udc, opposta a quella praticata da Pierferdinando Casini e Lorenzo Cesa, interessati alla ricostruzione di un centrodestra alternativo al Pd. Egli vorrebbe invece un’alleanza dei centristi con il Pd, nonostante Renzi, pur di non tornare con l’odiato Silvio Berlusconi.

Per quanto avanti con gli anni, tutti ben portati, e lodevolmente ridimensionatosi al ruolo di sindaco della sua Nusco, che magari potrebbe portarlo nel Senato immaginato proprio da Renzi, fatto di governatori, consiglieri regionali e sindaci, appunto, praticamente nominati dai partiti dietro il paravento dei voti dei Consigli regionali, De Mita dà l’impressione di volere coltivare la pianta un po’ appassita dell’antiberlusconismo. Ma ciò anche a costo di dimenticare o smentire la saggezza – gli va riconosciuto – mostrata l’anno scorso, quando si dissociò pubblicamente, per quanto inutilmente, dalla fretta e dall’ostinazione di chi volle far decadere Berlusconi da senatore con l’applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino. Che anche esponenti autorevoli della sinistra avrebbero invece preferito affidare al giudizio della Corte Costituzionale.

Quella fretta e ostinazione contro Berlusconi fu condivisa allora anche da Renzi, in corsa con le primarie per la segreteria del Pd e, a dispetto degli inviti ufficiali a “stare sereno”, per la successione a Enrico Letta a Palazzo Chigi. Il problema o l’obbiettivo di Renzi, evidentemente, era quello di poter poi accordarsi con un Berlusconi più debole. Una furbizia, questa, tipica di certa storia democristiana intensamente vissuta e anche rappresentata dal De Mita degli anni verdi. Ma forse l’ex segretario della Dc ritiene che Renzi abbia rivitalizzato troppo l’uomo di Arcore. La furbizia, si sa, è insondabile.

Francesco Damato 


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