T-Ltro flop: nella prima asta indetta dalla Bce sono stati assegnati appena 82,6 miliardi di euro. Una cifra molto inferiore all’importo messo a disposizione, pari a 400 miliardi di euro, mentre ulteriori 600 miliardi di euro sono già preordinati per le successive assegnazioni. E’ un risultato peggiore rispetto alla stima gia modesta effettuata qualche giorno fa da Barclays, che prevedeva richiesta per 270 miliardi nel complesso, di cui 114 alla prima asta.
La situazione dell’Eurozona si fa critica: l’economia reale è in stallo, con il +0,67% nel secondo trimestre dell’anno, in calo rispetto al +0,95% del primo trimestre; l’inflazione in discesa, col +0,4% in luglio ed in agosto rispetto al +0,5% di maggio e giugno; la liquidità ai minimi, con il tasso di crescita annuo della componente M3 sotto al 2% dal settembre del 2013.
Diviene ancora più arduo auspicare una ripresa economica trainata degli investimenti privati, per rilanciare l’offerta: neppure le banche credono a questa strategia. Ci sarà piuttosto un’altra gara, quella a nascondersi dietro l’ultima scusa disponibile: anche le banche aspetterebbero le riforme strutturali. Vogliono “vedere il cammello”.
Stiamo arrivando alle ragioni del guasto che ha bloccato l’intera Eurozona. Le politiche della Bce sono state solo astrattamente accomodanti, anche da quando Mario Draghi è divenuto Governatore, perché si sono focalizzate più sul livello dei tassi di riferimento per le operazioni di rifinanziamento che sull’andamento complessivo della liquidità. Non è casuale che in questi giorni, anche a seguito dei rilievi dell’Ocse, si chieda con insistenza l’avvio operazioni di accomodamento quantitativo attraverso l’acquisto di titoli (non solo ABS) piuttosto che continuare con i rifinanziamenti bancari a lungo termine con le T-Ltro.
Nella comparazione effettuata dall’Ocse risulta evidente il crollo degli asset della Bce che sono passati dal 14,5% del Pil dell’Eurozona nel 2008 al 31,5% di metà 2012 per poi ridursi di oltre dieci punti, con l’ultima rilevazione al 20,6%. C’è stato un calo continuo, e perverso, di liquidità nel sistema dell’euro, di cui il sostanziale fallimento dell’asta di ieri non è che l’ennesima riprova. La Fed, invece, che pure partiva da un livello molto inferiore a quello della Bce, visto che nel 2008 gli asset in suo possesso erano pari al 5% del pil, li ha aumentati principalmente attraverso le operazioni di QE (acquisto di titoli a lungo termine del Tesoro e mutui immobiliari cartolarizzati) e non con il rifinanziamento a lungo termine del sistema bancario, arrivando quest’anno al 24,8% del pil.
La Bce ha invece drenato la liquidità straordinaria immessa a cavallo tra il 2010 ed il 2012, per tener conto delle condizioni della Bundesbank: la crisi dell’estate del 2012 aveva creato uno sbilanciamento all’interno del sistema Target 2. I capitali in fuga dalle banche dei Paesi PIIGS verso la Germania avevano allagato di liquidità le banche tedesche, determinando un credito spettacolare della Germania rispetto alle altre banche centrali europee, pari ad oltre 751 miliardi di euro nell’agosto del 2012. Una enormità, visto che nell’ottobre del 2008, allo scatenarsi della crisi, l’attivo era di appena 70 miliardi di euro.
Si è creato, a partire dall’estate del 2012 una sorta di effetto “onda”, l’errata impressione che la liquidità nell’Eurozona fosse complessivamente sovrabbondante, mentre in realtà si trattava solo di uno sbilanciamento tra mercati: la liquidità riversata nel sistema bancario tedesco gli ha consentito di fare prontamente fronte a tutte le scadenze di rientro a fronte delle precedenti operazioni di anticipazione e di sostegno, di cui aveva beneficiato all’inizio della crisi, ed ora di non aver bisogno delle T-Ltro.
Finora, la colpa era del cavallo che non beveva, delle imprese che non attingevano al credito per via della scarsa disponibilità di fondi da parte delle banche. Ora sono le banche che non riempiono il secchio. Bisogna invece cambiare lo Statuto della Bce ed ampliarne le funzioni, con l’obiettivo di perseguire la massima occupazione in un contesto di stabilità dei prezzi, prima che sia tardi. Tutto il resto è flop.