Riceviamo e volentieri pubblichiamo
C’è chi si allea a Roma e vorrebbe farlo anche nelle regioni chiamate al voto nel 2015 e chi sceglie la strada opposta, con il caos che torna principe nella politica italiana. Una destra europea e non sguaiata che riacquisti i voti che sono andati ai Cinque stelle e al partito dell’astensione è ancora possibile in Italia?
Sul Sole 24 Ore di pochi giorni fa l’analisi del lucido Stefano Folli richiamava l’attenzione sul concetto di unità, l’unico elettoralmente vincente per non morire renziani e renzisti. Sì, ma come? Un pertugio in verità l’ha indicato da queste colonne il deputato di Fratelli d’Italia Achille Totaro, che ha osservato come la disgregazione sia una deriva poco utile, che altresì produce magri risultati elettorali (ricordiamo che Fdi è tra il 2 e il 3%, degli altri ahimè si sono perse le tracce) quando invece la destra tutta racchiude un bacino di voti almeno del triplo. Totaro ha ragione quando chiede chiarezza alla destra e al centrodestra italiano. Ma come andare a raccogliere nuovamente quei dividendi senza commettere gli errori del passato?
L’anomalia della grande coalizione avrà un termine: questo il dato di fatto da cui partire. Tanto vale programmare subito un incrocio valoriale e concreto che componga un quadro di opposizioni finalmente unite nel merito e non con sporadiche ed isolate manifestazioni anti renziane. Lo schema presente nel panorama politico di chi non è di sinistra è l’unico su cui investire. Far convergere liberali, nazionalisti democratici, conservatori progressisti e popolari europei non può che rappresentare lo sforzo minimo di chi non intende adeguarsi supinamente ad un monocolore renziano, ciò che accadrà a breve, anzi, ciò che è già accaduto sia nella composizione del governo che della segreteria piddì.
Il Renzi di destra ancora non c’è, questa è un’evidenza oggettiva e non servirà tentare un’affannosa e flebile corsa al ticket, quando invece c’è da costruire una classe dirigente preparata (e non cooptata) accanto a programmi credibili e lungimiranti, che non scimmiottino i diktat di Berlino ma siano sperimentazione pura. Totaro dice una cosa vera quando indica l’orizzonte in una destra democratica per chi non vota né Grillo né il partito dell’apatìa.
Ma i rilievi, ad esempio, di Raffaele Fitto in Forza Italia, a me sembrano noti e condivisibili da molti anni e non certo ascrivibili limitatamente a questo 2014. Il travaso di voti dell’intero centrodestra (fatta salva la Lega di Salvini) è un preciso trend lontano nell’ultimo triennio, così come una gestione che scontenta tutti o quasi.
Insomma, le ragioni dello strappo dei finiani e di Fini (che oggi ritornano con altre voci) possono essere esiliate in eterno?
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