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Come nasce la partnership del terrore tra Isis e Al Qaeda

Nella galassia islamica, le cui componenti sono in perenne lotta tra loro, le alleanze sono sempre state temporanee e condizionate dagli sviluppi della situazione; la lotta di potere, che da sempre ha messo i vari attori gli uni contro gli altri, ha spinto alcuni di questi a ricercare occasionali sinergie con ex nemici, per conseguire il successo, di fronte a una opposizione particolarmente forte. Naturalmente, in caso di vittoria, la spartizione del potere ha spesso creato ulteriori divisioni e cruente lotte intestine, che vanificavano regolarmente i risultati conseguiti.

Al Qaeda ha goduto di appoggi e finanziamenti notevoli, finché i suoi “sponsor” non si sono resi conto che l’organizzazione terroristica era sfuggita al loro controllo e, soprattutto, li metteva in grave imbarazzo; la stessa cosa sta avvenendo per l’IS, lo Stato Islamico nato dall’ISIS, i cui cinici fini di potere e la cui crudeltà nel commettere efferati crimini di guerra gettano discredito su tutto il mondo musulmano.

L’ISIS era stata costituita da una frazione scissionista di Al Qaeda, e si è dedicata al sogno di una “Grande Arabia”, uno Stato che dovrebbe raccogliere l’eredità dei passati Califfati arabi e dell’Impero Ottomano, ipotizzato già nel 1919. I promotori sono consapevoli che queste due entità statuali hanno al loro tempo costituito una grave minaccia per l’Occidente, che non potrebbe mai essere favorevole alla rinascita dell’uno o dell’altro, come del resto avvenne col rifiuto anglo-francese dell’analogo sogno dello Sceriffo Hussein nel 1920.

Ma l’IS sa anche che il Vicino e Medio Oriente, che il suo leader vorrebbe unificare sotto le proprie bandiere nere, è un caleidoscopio di etnie e di religioni, per cui il perseguimento del sogno di uno “Stato Islamico” implica la volontà di compiere un terribile bagno di sangue e una “pulizia etnica” senza precedenti, con decine di milioni di rifugiati. In questi mesi, gli aderenti all’IS hanno dimostrato una tale feroce determinazione a compiere questi crimini di guerra da sollevare contro di loro quelle etnie che temono di diventare vittime di un genocidio senza precedenti o di essere costrette a fuggire dalle loro case, per vivere da emarginati in giro per il mondo.

Il fatto poi che il capo dell’IS, al Baghdadi, si sia auto-proclamato “Califfo”, ovvero la massima autorità statale e religiosa dell’Islam, ha portato al suo disconoscimento, da parte dei potentati arabi che lo avevano aiutato nella lotta al regime siriano di Assad. Numerosi sono infatti gli aspiranti a questo titolo fin da quando l’ultimo Sultano ottomano, Mehmet VI, andò in esilio, nel 1922, prima a Malta e poi in Italia.

Egli era, come i suoi predecessori, il “Califfo di tutto l’Islam”, e i suoi discendenti si fregiano ancora di questo titolo: l’attuale titolare, dal 2009, è Bayezid Osman, che vive a New York e ha servito nell’Esercito americano. Quindi, chiunque assuma questo titolo lo usurpa a chi lo ha detenuto per quasi cinque secoli, e quindi è e rimane un parvenu. Ma l’ambizione umana non conosce freno!

Fra gli aspiranti al “Califfato”, dopo la sconfitta ottomana nella Prima Guerra Mondiale,il primo fu lo Sceriffo Hussein, che era stato il “Guardiano dei Luoghi Sacri” dell’Islam; poi fu la volta del Gran Muftì di Gerusalemme, che per conquistare il potere arrivò ad allearsi alle nazioni dell’Asse, finendo travolto dal loro crollo; dopo di loro, altri regnanti hanno mostrato velate intenzioni di assumere, sia pure in parte, un potere simile, cercando di conseguire una maggiore influenza sul mondo musulmano, in particolare sulla sua componente sunnita, grazie all’elargizione di somme enormi e ad un’attenta azione diplomatica.

Perciò sono ora numerose le forze, all’interno della galassia islamica (e di quella jihadista) che si oppongono ad al Baghdadi, disconoscendone l’autorità e contestando la sua legittimità a fregiarsi di questo titolo. Inutile dire che, nella loro determinazione, alcune di queste forze sono disposte ad arrivare a ogni estremo. Anche per questo, Osama bin Laden, pur invocando l’avvento del Califfato, non si era mai candidato per quella carica!

Dal canto suo, al Qaeda – dopo la perdita del suo leader storico, Osama bin Laden – ha attraversato momenti difficili, riuscendo a fare ben poco; non a caso il suo attuale capo, per ridare slancio e motivazione ai propri adepti, ha recentemente dichiarato l’intenzione di concentrare le “sue forze” nell’islamizzazione dell’India, un Paese in cui i Musulmani sono numerosi (circa 166 milioni, secondo le stime attuali [1]).

Il fatto che ora alcune branche di al Qaeda abbiano forse deciso di unire le proprie forze a quelle dell’IS, come si potrebbe ipotizzare dal comunicato congiunto diffuso da AQMI e AQAP nei giorni scorsi, sembrerebbe dimostrare due cose: da una parte, la scarsa attrattiva per gli uomini fedeli ad al Zawahiri ad aprire un’altra pagina di azioni terroristiche nel sub-continente indiano, dove presumibilmente non hanno (ancora?) agganci sufficienti; dall’altra, il realismo di chi vede la necessità di allearsi ai suoi scissionisti, il cui ascendente presso le masse sunnite del Vicino e Medio Oriente si è dimostrato superiore.

Durerà questa alleanza sotto i colpi che l’Occidente, insieme alla parte più influente del mondo arabo, intende portare all’IS? Riusciranno le varie componenti della galassia islamica a trovare un compromesso che consenta la loro convivenza pacifica, ponendo fine a una guerra intestina che ormai si svolge su scala mondiale?

Laddove avesse luogo, l’unione tra al Qaeda e l’IS non potrebbe far altro che spingere le componenti meno estremiste le une verso le altre: dalla loro lotta comune contro questa strana collaborazione tra tagliagole (i terroristi e i criminali di guerra) che sta per sottomettere milioni di musulmani e non islamici, mediante un regime totalitario, basato sulla crudeltà e sul terrore, potrebbe emergere un Islam più equilibrato e meno schizofrenico nei rapporti con il resto del mondo.

L’Occidente, insieme ai suoi partner islamici, può favorire molto questo processo – e, in parte, lo sta già facendo – ma tocca ai popoli dell’area costruire il loro futuro, respingendo le forze terroristiche e totalitarie che li vogliono asservire.

1 Vds. CIA World Factbook, India.

L’Ammiraglio di Squadra Ferdinando Sanfelice di Monteforte è docente di Storia delle Istituzioni Militari presso l’Università “Cattolica” di Milano, e di Strategia presso l’Università di Trieste – Polo di Gorizia. Ha ricoperto numerosi incarichi internazionali, tra cui quello di Rappresentante Militare per l’Italia presso i Comitati Militari Nato e Ue. È Presidente della commissione militare del Comitato Atlantico Italiano.


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