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Ecco il nuovo vangelo del sempre più fantasioso papa Scalfari

Scalfari 4. Eugenio Scalfari nonagenario vive la quarta fase. La prima, ancora praticata, è giornalistica. La seconda, intrecciata, è politica, alquanto mutevole, dalla monarchia al Pci, dal Pli al Psi, dai radicali al Pd, sino al partito de la Repubblica. La terza è filosofica, finora la più ambiziosa, perché Scalfari si confronta coi nomi massimi del Pensiero, con l’evidente proposito di stracciarli. Ancor più ambizioso appare lo Scalfari 4, il teologo, passato dai colloqui con il cardinal Martini al dialogo col Papa.

Domenica scorsa il theologus de re publica, nelle oltre tredicimila battute del consueto predicozzo festivo, ha affrontato, da par suo, la questione della comunione ai divorziati risposati, inserendola in un ben più ampio contesto religioso, storico e soprattutto teologico. Impossibile farne una summa; difficile pure elencare le numerose pecche. Certo, inserire fra “Consigli vaticani” e “Congregazioni” anche i “Ministeri” tradisce una forte ignoranza della struttura della Santa Sede, che non contempla ministeri all’uso laico. Crearsi un ”Sinodo ordinario a Filadelfia, nel luglio dell’anno prossimo”, è un pasticcio: a Filadelfia, nel settembre 2015, si svolgerà l’ottavo Incontro mondiale della famiglia; il Sinodo ordinario si terrà a Roma (come tutti i sinodi), nell’ottobre successivo. Sul piano storico, poi, non ha senso attribuire la visione sacrale dell’imperatore alla “Roma tardo-imperiale”, posto che il tardo Impero viene dopo Costantino, quando le persecuzioni cessano.

Leggiamo un’altra enunciazione storico-teologica del Sommo: “Il clero dei primi secoli non prevedeva il celibato dei presbiteri, la Chiesa cattolica d’Oriente lo pratica tuttora”. Dunque, il celibato sarebbe praticato da un’indefinita “Chiesa cattolica d’Oriente”. Se Scalfari ha voluto riferirsi alle chiese cattoliche orientali (al plurale: superano la ventina), avrebbe dovuto annotare che quasi tutte non (ripetesi: non) praticano il celibato sacerdotale. Tanto per rasserenarlo, potremmo citargli che del celibato si occupò il terzo Sinodo ordinario, nel 1971, votandone a maggioranza la permanenza immutata (nella chiesa latina).

La grande, sconvolgente novità teologica, tuttavia, oscura queste bagatelle. Se l’anima “cessa d’interessarsi agli altri, muore: come anima cessa di esistere”. Se si trattasse di una riflessione di Eugenius theologus, passi; ma la novità è attribuita al papa. Già Scalfari aveva assegnato a papa Bergoglio l’abolizione del peccato: il pontefice prosegue in quella che il Sommo definisce “rivoluzione”. Sono azzerati due millenni d’insegnamento religioso: “La dottrina tradizionale insegnava che l’anima è immortale. Se muore nel peccato lo sconterà dopo la morte del corpo. Ma per Francesco evidentemente non è così.

Non c’è un inferno e neppure un purgatorio. Per le anime che non sono scomparse nel nulla c’è la beatitudine d’essere ammesse alla luce del Dio che le ha create.”Nonostante il Fondatore (fondatore del quotidiano la Repubblica, ché il cristianesimo già un altro l’aveva fondato) asserisca che tale sia “la visione di Francesco”, si tratta in realtà di una rimasticatura della personale visione di Sscalfari. Già aveva insistito (vanamente) con il cardinal Martini e poi con lo stesso Bergoglio, per persuaderli che la dissoluzione finale del mondo fisico significa la fine di tutto, spirito compreso.

Adesso asserisce che mortalità dell’anima, soppressione dell’inferno, inabissamento divino delle anime sopravvissute, sono la rivoluzione bergogliana. E l’insegnamento di Gesù Cristo? Ha scarso rilievo: il biblista Scalfari scarnifica qualsiasi validità storica dei quattro Vangeli, scritti “con fonti di seconda o di terza mano”. Fece tutto Paolo di Tarso. Allora. Adesso provvede, almeno per quel che può, Scalfari. Non sarà proprio un caso che incidentalmente egli annoti come il (supposto) autore del quarto Vangelo lo scrisse “più che ottantenne”. Rispetto all’appena meno anziano san Giovanni (dubitosamente) evangelista, Scalfari ha il vantaggio di essere solidamente esistente e autore di facezie teologiche ammannite domenicalmente, con fonti di prima mano.


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