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Ebola, ecco come il virus è arrivato negli Stati Uniti

Gli Stati Uniti hanno diffuso la notizia di un primo caso di ebola in territorio americano. Dopo il periodo di incubazione, un uomo proveniente dalla Liberia ha accusato i primi sintomi: febbre, mal di testa, dolori muscolari, vomito, tosse ed emorragie interne ed esterne. Il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) ha confermato il caso. È ricoverato in isolamento al Texas Health Presbyterian Hospital a Dallas. Le autorità sanitarie hanno confermato che le analisi del paziente effettuate nel laboratorio di Austin hanno dato esito positivo e che diverse istituzioni seguono il caso. Negli Usa non era stata identificata finora nessuna persona infetta, ma tre cittadini americani sono stati rimpatriati da Paesi africani: Rick Sacra, Nancy Writebol e Kent Brantly, che ha reagito molto bene al vaccino nell’Ospedale di Emory ad Atlanta in Georgia.

PASSEGGERI IN SALVO

Le persone che erano in volo con il paziente non devono temere il contagio. L’ebola si trasmette con contatto diretto di sangue, fluidi corporei ed esposizione a oggetti contaminati. Ma il virus non è contagioso finché non appaiono i primi sintomi, che possono presentarsi tra due e 21 giorni dalla trasmissione. Tra la comparsa dei primi sintomi e la morte possono trascorrere in media 10 giorni.

EPIDEMIA SOTTOVALUTATA

Secondo il New York Times, il virus ha potuto diffondersi per mesi perché il compito di identificarlo “era stato lasciato a Paesi estremamente poveri e impreparati”. “Quando l’Organizzazione mondiale della salute (Oms) è venuta a conoscenza dell’epidemia – continua il Nyt –, l’impegno per monitorarla e contenerla è stato scarso e inefficace, sostengono alcuni medici dell’agenzia”. Molti credevano che il problema non fosse grave.

TAGLI PERICOLOSI

Nonostante il mondo sia sempre più interconnesso, ed è confermato che una rara malattia possa viaggiare facilmente da un villaggio sperduto ad una grande città, l’attuale crisi dell’ebola ha messo in evidenza le enormi mancanze del sistema di risposta internazionale alle epidemie. I tagli hanno indebolito le capacità dell’Oms, l’organizzazione delle Nazioni Unite che fa fronte a queste contingenze. L’Oms ha ridotto di quasi un miliardo il bilancio biennale e oggi conta su 3,98 miliardi di dollari. Così, il vertice ha dovuto scegliere su quali problematiche investire e si è preferito affrontare malattie globali cronache: diabete e cardiopatia.

APPELLO INTERNAZIONALE

Per le malattie epidemiche e pandemiche, tra cui l’ebola, il New York Times riferisce che l’Oms ha sotto controllo una decina di virus tra cui il colera, la peste bubbonica e la febbre gialla. Conta su 52 dipendenti e un solo esperto di ebola e di malattie emorragiche.

L’Oms ha lanciato un appello: chiede ai donatori circa 490 milioni di dollari e l’aiuto di migliaia di operatori sanitari per combattere l’epidemia. Finora in pochi hanno risposto positivamente.

L’INIZIO DELL’EMERGENZA

Il primo caso dell’epidemia di ebola è stato identificato a marzo del 2014 in Guinea, quattro mesi prima del primo contagio. È avvenuto per il contatto tra un uomo e un pipistrello della frutta. Poche settimane dopo ci sono stati una decina di casi in altri villaggi e a Conakry, la capitale. Da allora il virus ha ucciso più di 3mila persone e ne ha contagiate circa 20 mila. I farmaci per combatterlo sono in fase sperimentale.

In Spagna a perdere la vita a causa dell’ebola è stato il prete Manuel García Viejo, direttore dell’ospedale San Giovani di Dio di Lunsar (Sierra Leone), rimpatriato a Madrid a metà settembre. Il 12 agosto è morto anche il fratello, Miguel Pajares, che viveva in Liberia.

RISCHIO EBOLA IN ITALIA

Sulle possibilità dell’arrivo dell’ebola in Italia, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) rassicura che la diffusione nel Paese è improbabile. Secondo l’istituto, “la malattia si manifesta con sintomi molto severi che rendono improbabile uno spostamento intercontinentale; tenuto conto della rapida incubazione (mediamente circa sette giorni, più in generale da 2 fino a 21), l’ipotesi che l’infezione possa giungere via mare con persone che, partite dalle zone interessate dall’epidemia, abbiano attraversato il nord Africa via terra per poi imbarcarsi verso l’Europa è destituita di fondamento”.

L’unico timore è rappresentato dal volo diretto, ovvero che “un paziente possa giungere in Italia  partendo da uno dei Paesi attualmente interessati – spiega la Sim. Questa eventualità è tuttavia poco probabile per la lontananza tra il punto di insorgenza dei focolai epidemici, le vie di comunicazione internazionali, terrestri ed aeree e gli aeroporti intercontinentali, in cui la sorveglianza sanitaria è stata ovviamente fortemente intensificata”.


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