L’Isis torna ad attaccare il Vaticano, l’Italia e la cristianità, pubblicando in prima pagina del giornale Dabiq una foto con la bandiera nera dello Stato islamico che sventola sulla Basilica di San Pietro.
L’articolo intitolato “la crociata fallita”, alludendo ai bombardamenti della coalizione internazionale in Irak e Siria, spiega che “è dovere di ogni musulmano ammazzare gli infedeli e schiavizzare le loro donne”. I combattenti islamici inneggiano poi alla prossima “conquista di Roma”. Queste affermazioni possono sembrare semplice propaganda, ma è esattamente quello che, riportano i cronisti sul campo, sta accadendo in questi mesi nel nuovo Stato islamico. Gli Yazidi e molti cristiani hanno provato sulla loro pelle che l’Isis non scherza affatto quando propone di dare in spose ai combattenti le donne delle minoranze. Quello che lascia più perplessi alcuni osservatori è però soprattutto il silenzio di parte del mondo musulmano di fronte al ripetersi di pratiche giustificate sotto forma di falsi doveri islamici.
L’Isis ha portato a estreme conseguenze le teorie di quei teologi islamici riformisti che a cavallo tra l’Ottocento e il primo trentennio del ‘900, in reazione alla colonizzazione e alla decadenza del mondo islamico, proposero un abbandono del misticismo e di una certa giurisprudenza delle scuole giuridiche islamiche per tornare agli anni d’oro dell’Islam. Si trattava di un paradosso: tornare alle origini per modernizzarsi. Come fossero però le origini non era molto chiaro, per alcuni bisognava ispirarsi allo spirito di quegli anni, per altri alle leggi.
Un’operazione ardua che nonostante alcune buone intenzioni iniziali si è dimostrata assolutamente fallimentare. L’Islam infatti non ha un clero e per secoli erano i capi politici a vegliare sulla religione, tradizione che ha permesso una notevole tolleranza religiosa e il fiorire di mille varianti diverse della religione musulmana.
Con la colonizzazione, il mondo islamico per la prima volta si trova governato da potenze cristiane. Per ovviare a questo problema molti pensatori cominciano a concentrarsi sulla Shari’a proponendo di depurarla da tutte le stratificazioni storiche per riportarla alle origini. Il mondo musulmano si preoccupa quasi di più del rispetto delle leggi che codificano ogni aspetto della vita che di dogmi religiosi che sono quasi assenti. La sharīʿa è un termine arabo “dal senso generale di legge (letteralmente strada battuta), che può essere interpretata sotto due sfere, una più metafisica e un’altra pragmatica. Nel significato metafisico, la sharīʿa è la la legge di Dio e, in quanto tale, rimane sconosciuta agli uomini. In chiave pragmatica, il fiqh, la scienza giurisprudenziale islamica interpretata secondo la legge sacra, rappresenta lo sforzo concreto esercitato per identificare la Legge di Dio; in tal senso, la letteratura legale prodotta dai giuristi (faqīh, plurale: fuqahāʾ) costituisce opera di fiqh, non di sharīʿa”.
Alessandro Bausani, nel suo volume “Islam, una religione, un’etica, una prassi politica” si chiede se “sia possibile modernizzare la shari’a, come paradossalmente si proponevano di fare quei pensatori che auspicavano il ritorno allo spirito dei primi anni dell’Islam.
I primi Paesi in cui nacquero movimenti che proposero un ritorno agli anni d’oro e ai primi califfati furono l’Egitto e l’India. Tra i pensatori più noti vi era l’indiano Hammad Iqbal che sosteneva che la corruzione della religione islamica fosse avvenuta con la penetrazione nel nono e decimo secolo del pensiero greco, in particolar modo quello neoplatonico. Iqbal proponeva un ritorno alla purezza del pensiero semita. Per lui il volgersi al passato non avrebbe frenato la modernità perché essa aveva le radici non nella cultura occidentale, ma bensì nell’Islam.
Un altro dei riformatori che proponeva di uscire dalla crisi dell’Islam attraverso il ritorno alle origini era l’egiziano Muhammad Abduh, padre della Salaffiya che letteralmente vuol dire i “buoni tempi antichi” appunto la riforma attraverso il ritorno a un ipotetico passato puro. Paradossalmente Abduh sosteneva che le varie scuole giuridiche fossero ormai inutili e che bisognasse superare le loro cavillose interpretazioni e proponeva invece un libero studio delle fonti, in questo studio, “la maslaha”, l’utilità della comunità islamica, va anteposta a tutto, perfino se fosse in contrasto con gli hadith (aneddoti sulla vita del profeta) o il Corano stesso.
Come tutto questo abbia finito per portare a un “Califfato” nel cuore della Siria e dell’Irak in cui si uccidono i musulmani che professano interpretazioni diverse dall’auto proclamato “Califfo”, Abu Bakr Al Baghdadi, sarà una questione di cui gli storici discuteranno per anni.
Da una parte, sono concordi gli esperti occidentali, vi saranno stati sicuramente errori delle potenze che, in una prima fase, hanno svuotato di potere le istituzioni politiche locali e, in una seconda, hanno finito per riempire di dollari regimi fondamentalisti in cambio di petrolio o per combattere l’Unione Sovietica. Ma certamente non si può esentare dalle proprie responsabilità il mondo musulmano che nel ‘900 ha riformato le sue dottrine religiose creando ideologie fondamentaliste che hanno reso l’Islam una religione legata a leggi rigide, che si contrappongono alla modernità e che per altro non sono nemmeno scritte nel Corano. Esempio madre di questa prassi è il velo per le donne. Non vi è traccia nel Corano dell’obbligo per le donne di velarsi. Questa pratica, peraltro di origine cristiana ortodossa, è stata semplicemente adottata per motivi culturali nei territori strappati all’impero bizantino. Un altro tabù dei fondamentalisti, l’alcol, è si trattato nel Corano, ma in modo contraddittorio, infatti in alcuni versetti viene semplicemente sconsigliato di abusarne, in altri proibito.
Per quanto riguarda la schiavitù, il Corano la sconsiglia, ma la ammette in alcuni casi, tra i quali la guerra. Ma si tratta di interpretazioni restrittive di pratiche diffuse allora in tutto il mondo. Nel Corano si parla poi chiaramente della protezione dei popoli del libro, tra cui i cristiani e gli ebrei.
Un altro tema che i politici che governano Paesi musulmani dovranno affrontare è cosa fare dei cittadini agnostici o atei, sempre più presenti tra le élite colte e i ragazzi nelle città. L’agnosticismo cresce tra i giovani benestanti anche in reazione a certi fondamentalismi islamici. L’Ideologia dell’Isis finisce per attrarre più che le masse, alcuni intellettuali che odiano l’Occidente e poveri attratti dalle promesse economiche del “Califfo”.