La questione non è di ultimi due giorni, con le Borse europee in forte calo ed i titoli del debito pubblico sotto pressione. Sono mesi che il mercato si è diviso sulla strategia migliore da adottare nei confronti dell’Europa a seguito del completamento del Qe3 da parte della Fed: c’è chi ha fatto il pieno di azioni e di titoli del debito dei paesi periferici, contando sull’avvio da parte della Bce di un programma di allentamento quantitativo, e c’è invece chi ha cominciato tempestivamente ad alleggerirsi, a sottopesare l’Unione europea nel suo portafogli.
I NUMERI PESSIMISTICI
I segnali di un progressivo pessimismo hanno riguardato anche l’Italia, la cui posizione nell’ambito del sistema Target 2 è passata da -130 miliardi di luglio a -197 miliardi di settembre, mentre l’attivo della Germania è cresciuto da 444 miliardi a 480 miliardi: movimenti di capitale praticamente simmetrici, ancora una volta. L’avvio del Semestre di Presidenza italiana non sembra essere piaciuto affatto.
DOSSIER GRECIA
Tutto si è avvitato, in questi giorni, partendo ancora una volta dalla situazione dalla Grecia: sono bastate le indiscrezioni sull’esito degli stress test sulle banche per far cadere la borsa di Atene e far arrampicare il rendimento del decennale, salito ieri ancora di 109 punti base, toccando così l’8,94%. Per una economia che starebbe uscendo da sei anni ininterrotti di recessione, e che si accingerebbe a sganciarsi dalla tutela della Troika, è un pessimo viatico.
LA POSIZIONE TEDESCA
Il rallentamento delle economie europee rispetto alle previsioni di primavera, la viva contrarietà espressa dal Governatore della Bundesbank Jens Weiedman circa la ipotesi di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, e da ultimo la conflittualità tra il governo francese e le istituzioni europee circa l’applicazione della clausole di flessibilità del Fiscal Compact, sono state le ultime gocce che hanno fatto traboccare il vaso, sempre allo stesso modo: dall’inizio della settimana i capitali si sono nuovamente riversati in Germania, con il Bund a 10 anni che paga lo 0,75%, l’interesse più basso dal 1989, data di inizio delle serie post riunificazione.
IL NODO SPREAD
Il fatto che lo spread sui titoli italiani sia salito, arrivando ieri a 172 punti base rispetto al minimo annuale di 132 punti che è stato toccato lo scorso 5 settembre, dimostra come ancora un mese fa era prevalsa sul mercato la opinione che la Bce sarebbe intervenuta in modo deciso immettendo liquidità nel sistema economico, non solo attraverso il sostegno al sistema bancario con acquisti massicci di titoli rappresentativi di crediti, ma soprattutto acquistando titoli pubblici.
CHE SUCCEDE NELLE BORSE
Le borse europee sono in calo, anche quella di Francoforte: ieri l’indice Dax 30 ha toccato 8.582 punti, appena una manciata al di sopra del minimo da un anno a questa parte, quota 8.555 punti, ben al di sotto del massimo di 10.050 punti toccato a luglio scorso. E’ una parabola simile a quella della Borsa di Milano, che ieri ha visto il Ftse Mib scendere dell’1,21%, toccando quota 18.083 punti rispetto al massimo di 22.590 punti di giugno scorso.
OTTUSA EUROPA
E’ un’Europa senza strategie per la crescita, quella che si sta manifestando ancora in questi ultimi mesi: la ricetta del rigore fondato sul consolidamento dei conti pubblici e sul mantra delle riforme strutturali, finora ha fabbricato più debito pubblico e più disoccupati della crisi del 2008. Il Fiscal Compact è ufficialmente definito Patto per la Stabilità e la crescita, ma è altrettanto ufficialmente incapace di perseguire questi obiettivi. Non è solo la stagnazione europea che preoccupa, quanto la incapacità di risolvere qualunque crisi: in Grecia, Spagna, Italia e Francia, sembra tutto già visto, con gli spread che salgono, il contagio che si propaga, la mancata crescita che coinvolge tutti i Paesi, e la disoccupazione che non scende mai.
CONCLUSIONE
Le istituzioni europee e la Bce sembrano chiuse in un guscio di regole e di norme inadeguate. Era meglio quando ogni Paese andava per conto suo, con politiche economiche autonome e monete nazionali: meglio avere un’Europa irrilevante di una che marcia unita, ma nella direzione sbagliata, mettendo sempre più a rischio la stabilità finanziaria e la ripresa economica di mezzo mondo.