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Ferrovie, tutte le collisioni al vertice fra Elia e Messori

Vi sembra possibile che in un grande gruppo statale il presidente e l’amministratore delegato si guardino quasi in cagnesco?

E’ verosimile da che sei mesi quello stesso gruppo sia di fatto in una paralisi strategica?

Ed è normale che l’azionista Tesoro non riesca a dirimere tensioni e a sbloccare la paralisi?

No, nulla è normale e verosimile. Tranne che nelle Ferrovie italiane.

Oltre tutto, è tutto noto (o quasi). Infatti il presidente delle Fs, l’economista Marcello Messori, nominato a fine maggio come l’attuale ad, il manager di lungo corso in Fs, Michele Elia, dal governo Renzi, ha detto tutto (o quasi) in un’intervista al Corriere della Sera. Messori ha annunciato di aver rimesso le deleghe alla privatizzazione, pur restando presidente per tenere le deleghe al “controllo interno”. La decisione cela uno scontro di potere inusitato con Elia.

D’altronde un passaggio dell’intervista è indicativo dello stato dei rapporti tra presidente e ad, visto che Messori ha aggiunto: “Problemi di riorganizzazione, anche se diversi, valgono per Trenitalia e per le altre società controllate. E la riorganizzazione è un compito che spetta all’amministratore delegato”.

Ma è in particolare su metodi, tempi e procedure della privatizzazione che i dissidi sono nati, sono cresciuti e si sono incancreniti. Messori ha rimarcato criticamente: “In una privatizzazione si deve decidere cosa cedere. Le Ferrovie gestiscono la rete ferroviaria con Rfi, forniscono i servizi ai passeggeri con Trenitalia, controllano molte altre società. Cosa ci si sta avviando a cedere?”.

Il presidente ha considerato una vera e propria missione quella di assecondare la privatizzazione. Ma vorrebbe chiarezza su tempi e modi: che cosa privatizzare e come, che fare della rete in Rfi, di Grandi Stazioni e di molto altro. Ma al di là delle parole, e di molti annunci dello stesso Messori via stampa, il dossier privatizzazione è vuoto e ancora chiuso in un cassetto.

Tutta colpa di Elia? Lettura semplicistica, dicono alcuni addetti ai lavori, anche perché la presidenza Messori è piuttosto invasiva, si bisbiglia tra i top manager del gruppo. Certo, dai tempi di Mauro Moretti, e non solo, sono noti i capi azienda di Fs che non vogliono condividere troppo funzioni e deleghe con i presidenti. Ma la fisiologia dialettica conduceva poi a comporre le diversità e a trovare soluzioni.

In Fs, dopo 6 mesi di fibrillazioni, le tensioni non si placano. Per questo ambienti sindacali raccontano di un vero e proprio stallo strategico del gruppo. Si pensi – dice un manager della capogruppo – che il cda ha approvato finora le prime deleghe (formali) e la semestrale. E nient’altro. Come dire: presidente e amministratore delegato non sono in sintonia, ma evidentemente ci sono consiglieri di amministrazione che non riescono a facilitare mediazioni e compromessi.

Altri osservatori, che fanno parte della maggioranza di governo, rimarcano il ruolo un po’ troppo atarassico del Tesoro. Beninteso, la decisione di Messori di rimettere le deleghe sulla privatizzazione è stata di certo presa d’intesa con il ministero dell’Economia, azionista al 100 per cento di Fs. Però il dicastero di via Venti Settembre retto da Piercarlo Padoan finora ha lasciato galleggiare la questione, senza dare segni tangibili di voler dipanare la matassa privatizzazione (un gruppo di lavoro interno?, un comitato di esperti?, un voto assembleare per definire la questione delle deleghe?).

C’è chi scommette che presto la sveglia potrebbe arrivare da Palazzo Chigi.



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