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Quanto possono crescere Eurozona e Italia?

Il 28 ottobre, ossia meno di un mese fa, Formiche.net ha illustrato “la vera disputa” tra Padoan e Katainen e sottolineato come il nodo del problema siano le stime dell’output gap, ossia del differenziale tra Pil potenziale e Pil effettivo. Da tale differenziale deriva, tra l’altro, la flessibilità che può essere concessa all’Italia, e ad altri Stati in difficoltà, in materia di finanza pubblica e di golden rule per escludere certe tipologie di investimenti pubblici dal computo dell’indebitamento tecnico delle pubbliche amministrazioni ai fine del Fiscal Compact. Si faceva cenno a vari studi predisposti negli ultimi e se ne auspicava un dibattito aperto (e pubblico) tra specialisti.

La sera tra il 17 e il 18 novembre, la Banca centrale europea ha posto on line un Occasional Paper, il No. 156 della serie dal titolo POTENTIAL OUTPUT FROM  A EURO AREA PERSPECTIVE, di cui sono autori Robert Anderton, Ted Aranki, Alistair Dieppe, Catherine Elding, Stephan Haroutunian, Pascal Jacquinot, Valerie Jarvis, Vincent Labhard, Desislava Rusinova e Béla Szörfi. Non che il lavoro sia stato approntato per impulso di Formiche.net ma è da sottolineare la decisione di pubblicarlo ad un mese esatto dall’ultimo Consiglio Europeo del “semestre” in cui l’Italia presiede gli organi di governo dell’Unione Europea (UEe. Offriamo in link copia integrale del lavoro ai lettori di Formiche.net.

Il punto centrale è in che misura gli effetti “strutturali” (ossia sulle “strutture” dell’economia) della crisi economica abbiano inciso sui tassi di crescita potenziali. Il lavoro esamina vari modelli econometrici, li confronta e amplia la discussione ai casi degli Stati Uniti e del Giappone.

L’analisi quantitativa può essere riassunta, per quanto ci riguarda da vicino, nel fatto che il “Pil potenziale” è sceso dall’1,3% l’anno (stima Bce ante crisi) a circa lo 0% l’anno nel 2013, proprio in quanto non sono state fatte le riforme sulle strutture economiche (essenzialmente miglioramento delle infrastrutture e delle reti, liberalizzazioni in tutti i settori, dalle professioni, alle banche ed assicurazioni, ai servizi pubblici locali, ai taxi, e via discorrendo) e in campo di privatizzazioni siamo solo riusciti a portare a termine quella dell’ente degli ufficiali in congedo.

Ciò non vuol dire che siamo ormai vincolati a “crescita zero”. A pagina 118, le conclusioni del lavoro sono chiare: tutto dipende dalle riforme di struttura (sulle strutture economiche) da differenziarsi da quelle istituzionali. Nel primo atto di Julius Ceasar di Shakespeare, Cassio dice a Bruto “Bruto, Bruto, il futuro non è nelle nostre stelle ma in noi stessi”.

Che fare? Organizzare il dibattito sul lavoro, predisponendo se possibile una sintesi non tecnica in italiano. Potrebbe farlo il ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’ambito dei brown bag lunch organizzati dal Dipartimento del Tesoro. Oppure, magari, potrebbe organizzare un seminario Formiche. Che dite?


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