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Corpi intermedi e democrazia

Ogni giorno ci chiediamo: in Italia, chi rappresenta chi? È così radicato lo sfarinamento sociale, che è quasi impossibile stabilire in quale misura la miriade di movimenti politici rappresenti davvero un determinato corpo sociale o se un particolare corpo sociale si senta rappresentato da qualcuno in particolare. L’interrogativo è indubbiamente dovuto essenzialmente alla crisi dei partiti ideologizzati di massa che, nel Novecento, hanno dominato la storia politica dell’Europa e di gran parte dei continenti. La teoria sulla società liquida di Zygmunt Bauman, a sua volta, sembra spiegare una delle condizioni in cui si trova oggi ogni comunità nel mondo globalizzato.

L’azzuffarsi di partitelli personalistici che non riescono a dare una accettabile motivazione alla loro esistenza, specie in Italia, è un altro aspetto che legittima l’interrogativo iniziale. Che non è frutto di pessimismo interpretativo, bensì proprio il suo esatto contrario: una domanda che investe il campo dei partiti, ma non ha in realtà radici sociali e, piuttosto, deriva da un progressivo abbandono sociale (cioè da un disimpegno della c.d. società civile) rispetto a idealità, solidarietà, senso della politica e senso dello Stato.

Il sociologo Giuseppe De Rita, grande maestro di fenomeni di massa e ottimo catalogatore di insiemi mutanti che in effetti sfuggono a classificazioni scientifiche, invita (Corriere della Sera, 16 novembre) a “non demonizzare i corpi intermedi”. E a concentrare l’attenzione della politica su temi concreti: riconoscendo la “funzione e i meriti del sindacalista di reparto o del dirigente delle rappresentanze datoriali che si spendono per la fidelizzazione degli iscritti”, del “quadro di partito che si sbatte sul territorio”, in sostanza valorizzando chi, ogni giorno, lavora “sul pezzo”, su una porzione di società viva e, in astratto, produttiva.

A me pare evidente che compito della politica sia quello di osservare attentamente le pulsioni non solo degli ambienti attivi di una comunità, assumendoli come rappresentativi del “tutto”, cioè della società, non di un suo settore, benché più numeroso o più rumoroso. Mi sento perciò turbato dall’idea che, sotto spoglie nuove, in realtà si possano riproporre le antiche e nuove corporazioni, assegnando loro denominazioni esteticamente più attraenti. Anche perché, a ben vedere, senza la “sindacalizzazione” e la “fidealizzazione” degli iscritti, resterebbero la qualità e il peso di una rappresentanza operosamente corporativa, epperò di dimensioni ridotte rispetto al passato, ma pur sempre di stampo corporativo e filtrate da partiti che le egemonizzino, imponendole a tutto il corpo comunitario..

La democrazia è in crisi; non lo si può mettere in dubbio; e non si può negare che anche il solo sostenerlo non aggiunge molto a ciò che già si sapeva ed era stato detto: cioè che la democrazia è fragile, ma è pur sempre il meno peggio dei sistemi politici sperimentati nella storia dell’umanità. Piuttosto mi domando se potranno davvero salvarci da un ulteriore peggioramento della crisi economica e politica dei corpi intermedi ridimensionati e di cui qualcuno abbia intenzione di proporsi come inconfondibile rappresentante; o se, piuttosto, non occorra chiedersi se vi sia, come osserva Michele Salvati (La lettura, 16 novembre), di che preoccuparsi non per un “eccesso di leadership”, bensì di “carenza” di capacità di proporsi come leader da parte di uomini politici improvvisati. Per esempio i banchieri che non pagano mai dazio; i decisionisti che badano all’autoritarismo e non alla persuasione, che è la vera arma vincente di persone che emergono per la loro proposta culturale e politica, e non per la rappresentanza più o meno esclusiva di interessi settoriali, cioè corporativi. Insomma il timore è che torni a profilarsi il rischio di dovere sempre tornare a mediare non mediante la politica e le sue varie espressioni, ma attraverso il filtro di un partito: come fece Benito Mussolini miscelando Giuseppe Toniolo, Alceste De Ambris e Ugo Spirito, riuscendo a conquistarsi un formidabile consenso popolare, certamente però non democratico.



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