L’annullamento della “dichiarazione di guerra”, secondo le parole del leader di al-Fatah Mahmoud Abbas, ovvero della decisione delle forze dell’ordine israeliane di chiudere il sito sacro di Haram al-Sharif (Monte del Tempio per gli israeliani) a Gerusalemme a seguito dell’attacco all’attivista israeliano Yehuda Glick da parte di un uomo armato, restaura un precario equilibrio all’interno della Città Santa.
IL RABBINO GLICK
Noto per essere il principale esponente di una battaglia tesa a consentire un maggiore accesso della comunità israeliana di Gerusalemme al Monte del Tempio, luogo sacro sia per la popolazione musulmana che per quella ebraica, il rabbino Glick sembra attualmente fuori pericolo di morte. Le autorità israeliane hanno individuato e ucciso il presunto colpevole, il 32enne Moataz Hejazi, facendo esplodere la rabbia di esponenti della comunità araba, che hanno accusato le forze di polizia di aver colpito l’uomo a sangue freddo. La scelta di giovedì scorso delle autorità israeliane di chiudere l’accesso al Monte del Tempio, attuata per impedire la diffusione delle tensioni prodotte dagli eventi del giorno precedente all’interno dell’area, ha spinto Hamas e al-Fatah a indire un giorno di proteste nell’area, rientrate in seguito all’annuncio da parte delle autorità israeliane nel tardo giovedì di rimuovere il blocco.
LE VIOLENZE AUMENTANO IN CISGIORDANIA
I recenti episodi rientrano all’interno di un più generale incremento delle violenze a Gerusalemme (in particolar modo nel versante orientale) e nelle altre città della Cisgiordania. Il 22 ottobre, un palestinese residente a Silwan, area a maggioranza araba di Gerusalemme Est, ha lanciato la propria automobile contro un gruppo di persone fermo a una stazione, causando la morte di un neonato e di una ragazza israeliana e venendo ucciso mentre cercava di allontanarsi dal luogo.
La progressiva crescita delle tensioni tra la comunità palestinese e le autorità israeliane in Cisgiordania sembra rimanere priva di controllo e pare destinata a culminare in nuovi scontri: esplosa nei giorni successivi al sequestro di tre giovani israeliani nei pressi di un insediamento a sud di Gerusalemme, quando i rastrellamenti effettuati dalle autorità israeliane nelle maggiori città della West Bank hanno portato all’arresto di oltre 400 palestinesi, la crisi in Cisgiordania ha conosciuto un sensibile aggravamento in seguito al ritrovamento dei cadaveri dei tre ragazzi. Le immediate accuse rivolte dalle autorità israeliane ai vertici di Hamas, la cui militanza è stata al centro dell’ondata di arresti, e l’uccisione di un giovane palestinese da parte di estremisti israeliani a fine giugno hanno prodotto la deflagrazione delle tensioni, nei giorni in cui aumentava il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza che avrebbe condotto al conflitto tra il movimento islamista e le Forze israeliane.
LA PROTESTA
Il riverbero delle violenze di Gaza ha prodotto l’aumento del numero di manifestazioni nei vari quartieri di Gerusalemme. Giorno dopo giorno, un numero crescente di giovani palestinesi è sceso nelle strade in segno di protesta contro gli eventi di Gaza, scontrandosi con le forze israeliane: la risposta delle autorità ha portato oltre 800 arresti, tra cui quelli di 200 minori, e la morte di alcuni manifestanti. Recenti affermazioni del Presidente Netanyahu, che nelle prime settimane di ottobre ha chiesto alle Forze di Sicurezza di utilizzare misure più severe per contenere la ribellione, potrebbero essere il preludio a un ulteriore inasprimento degli scontri israelo-palestinesi nelle principali città della regione.
IL PIANO EDILIZIA IN PALESTINA
A contribuire all’aggravamento della situazione di tensione, c’è inoltre la scelta israeliana di dare una nuova accelerata alla costruzione di insediamenti all’interno dei territori palestinesi, da sempre utilizzati come arma politica, tesa a creare consenso all’interno delle fasce conservatrici della popolazione e a effettuare pressioni sui Paesi alleati. A inizio settembre, il governo israeliano ha annunciato l’autorizzazione di un nuovo piano edilizio per la costruzione di oltre 2.600 nuove unità abitative nell’area di Givat Hamatos, a Gerusalemme Est. La scelta di portare avanti la costruzione di insediamenti nell’area, che dovrebbe costituire la capitale di uno Stato palestinese, rivela come la ricerca di un appacificamento con la comunità palestinese non rivesta al momento una priorità per il Governo Netanyahu.
LE SOLLECITAZIONI USA
In tal senso, pare indicativo registrare il sostanziale disinteresse del governo israeliano alle sollecitazioni statunitensi per la cessazione della costruzione nei territori palestinesi, reiterate dal Presidente Barack Obama nel corso di una recente visita, segno del continuo deterioramento delle relazioni tra due Paesi che in passato hanno beneficiato da una forte sinergia d’interessi nella politica estera. Le recenti informazioni riportate dalla rivista statunitense The Atlantic su un attacco rivolto da un anonimo ufficiale dell’Amministrazione Obama al Presidente israeliano sono rappresentative del clima di completa sfiducia che ormai contraddistingue le relazioni tra le due parti.
QUALE IMPATTO
Rimane infine da comprendere quale impatto sia destinato ad avere sulle dinamiche politiche interne alla comunità palestinese l’attuale aggravamento delle tensioni in Cisgiordania. Due mesi dopo il cessate il fuoco che ha posto fine alla Crisi di Gaza, non è possibile comprendere con chiarezza quale impatto abbia avuto su Hamas la conduzione delle operazioni contro Israele nella Striscia. L’indebolimento delle capacità militari del movimento pare evidente: la morte di combattenti e comandanti dell’organizzazione, la distruzione di infrastrutture, basi, arsenali e dei tunnel costruiti da Hamas sotto e oltre i confini della Striscia rappresentano un duro colpo al suo potenziale offensivo. Le capacità d’attacco di Hamas, che hanno causato la morte di 66 militari israeliani e il ferimento di circa 470, hanno rivelato notevoli progressi: nonostante ciò, è elevato il numero di incognite sui tempi di riorganizzazione dopo le perdite subite.
IL CONSENSO DI HAMAS
Sul fronte interno, le operazioni militari anti-israeliane hanno consentito a Hamas di ottenere nuovo consenso a Gaza e in Cisgiordania, dopo una fase in cui l’immobilismo militare e l’indebolimento economico della Striscia avevano favorito la crescita dell’influenza di organizzazioni radicali minori e la disgregazione interna al suo braccio armato. E’ in tal senso possibile ipotizzare che Hamas stia cercando di sfruttare la situazione attuale per cercare di rafforzare la propria presenza all’interno della Cisgiordania, approfittando del progressivo indebolimento della popolarità di al-Fatah per tornare ad avere una presenza politica importante nella West Bank.
Dal canto suo, Mahmoud Abbas sta provando a sfruttare il ruolo di interlocutore internazionale nell’ambito del processo di ricostruzione di Gaza per tornare ad avere una presenza all’interno della Striscia, anche in virtù dell’accordo stretto nello scorso aprile per la formazione di un governo di unità palestinese. Nonostante sia complesso comprendere in quale maniera l’aumento delle violenze sia destinato a influire nell’immediato sulle dinamiche politiche interne alla Cisgiordania, pare evidente che entrambi i maggiori movimenti palestinesi cercheranno di capitalizzare la fase di instabilità e mobilitazione popolare per guadagnare peso e superare le rispettive difficoltà riscontrate nel corso degli anni precedenti, frutto di una diffusa crisi di legittimazione politica.
Andrea Ranelletti, collaboratore del desk Nord Africa/Medio Oriente del Ce.S.I