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La Befana del Corriere della Sera (e della stampa italiana)

La Befana ha portato cenere e carbone alla stampa italiana. Da un lato, la legge di stabilità comporta una drastica riduzione dei contributi pubblici (che riguardano quasi esclusivamente la stampa su carta). Dall’altro lato, sta continuando l’epidemia fatale che affligge le piccole televisioni locali. Da un altro ancora, tre dei maggiori quotidiani italiani appaiono in crisi profonda.

Ad esempio, i contenuti giornalistici prodotti dai collaboratori della Stampa di Torino saranno pubblicabili anche sul Secolo XIX, la testata genovese con cui La Stampa si è recentemente fusa, a parità di compenso (ossia senza maggiorazione agli autori per le doppia pubblicazione). La Stampa ha chiuso in perdita il 2012 (27 milioni) e il 2013 (13 milioni). Le aspettative per il 2014 parlavano di un rosso di 4-5 milioni: prima, naturalmente, della fusione con il Secolo XIX. 

Da quotidiano nazionale che poteva vantarsi di fare e disfare governi (venne presentato come la “culla” del centro-sinistra del 1963 quando la redazione romana era diretta da Michele Tito) le sue prospettive di sopravvivenza sono quelle di diventare un quotidiano regionale di Piemonte e Liguria. 

Ancora più amaro il quadro de Il Corriere della Sera che ha appena concordato con la redazione 70 prepensionamenti entro il 2017. Prepensionamenti anche a Il Sole 24 Ore (una quarantina) e la conclusione dello stato di crisi. Non si può dire che il governo sia stato con le braccia conserte: il “decreto Lotti”, per ora un po’ impantanato in difficoltà burocratiche,  stanzia 120 milioni di sussidi pubblici in tre anni per prepensionamenti ed assunzioni di giovani giornalisti.

E’ la strada giusta? La vigilia della Befana due economisti norvegesi, Hans Jarle Kind e Jarle Møen, hanno pubblicato il Discussion Paper No 214/44 del Dipartimento di Business e Managment dell’Università della Norvegia. Sono distinti, e distanti, dalle nostre beghe ma la loro analisi “Effetti di Tasse e Sussidi sui Servizi di Media” è impietosa, nonostante i due economisti siano essenzialmente favorevoli al supporto dei media (non solo quelli cartacei) al fine di favorire il pluralismo delle idee ed a ragione delle economie di scala e di scopo che caratterizzano il giornalismo. Anche in quanto, a loro avviso, un giornalismo retto solo o principalmente dalla pubblicità verrebbe orientato verso “il mercato di massa”, non verso la produzione e diffusione di idee di qualità. Un orientamento, quindi, simpatetico all’intervento pubblico. Tuttavia, non discriminatorio tra le tipologia di media e da effettuare principalmente con la leva tributaria (Iva preferenziale per favorire le vendite, deduzione di spese per investimenti) con i sussidi strettamente collegati alle copie effettivamente vendute ed alle “utenze uniche” per i media su supporto magnetico. Questi principi potrebbero essere utili anche al mercato della televisione: nel 2003 la Fondazione Bordoni propose una ri-regolamentazione del settore in vista del digitale terrestre. Ma non se ne fece nulla.


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