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Vi racconto una giornata di preghiera nella Grande Moschea di Roma dopo la strage di Parigi

Il trenino Roma-Viterbo è il mezzo pubblico che porta più vicino a Viale della Moschea, il luogo dove si trova la Grande Moschea di Roma, la più grande d’Europa. Sui vagoni, strapieni, ci sono poche donne e qualche studente. È venerdì e la maggior parte dei passeggeri sono uomini musulmani che si dirigono al ṣalāt delle 14:38, uno dei cinque appuntamenti di preghiera della giornata.

Qui vengono a pregare musulmani di 25 nazionalità diverse. C’è quello con gli occhi azzurri, quello di colore. Tutti insieme ad ascoltare la parola di Allah. Certo, oggi è anche pieno di giornalisti…”. Il guardiano è gentile ma preferisce non fare commenti. La strage di Parigi, compiuta da tre uomini che hanno ucciso 12 persone nella redazione del settimanale Charlie Hebdo invocando il nome di Allah, non lo riguarda.

LA PREGHIERA

Gli chiedo se posso entrare e mi dice che le porte sono aperte per chi rispetta il momento della concentrazione. Ma non posso entrare in moschea con la testa scoperta. Indosso il foulard che avevo in borsa e seguo una delle poche donne che arriva. All’interno, nella zona riservata alle donne, i bambini giocano sorridenti sul tappeto mentre le loro mamme ripetono i movimenti della preghiera: mani e testa in alto, inchino, raddrizzamento del corpo. Ci sono anziane, giovane e bambine.

LE PAROLE DELL’IMAM

Nelle parole dell’imam (come mi spiegano, è abituale: prima in arabo e dopo in italiano) non c’è nessun riferimento a quanto è accaduto a Parigi, ma tutto il discorso della preghiera del giorno ruota attorno alla condanna di qualsiasi atto violento da parte dei musulmani. “L’insegnamento è quello di ripudiare, anche nella vita quotidiana, la violenza. Lo stato dell’Islam è uno stato di pace, guidato dalla misericordia, l’amore e la pace”.

LA FESTA AL MERCATO

Fuori dalla moschea c’è un mercato all’aperto. Si vendono cibo, alimenti, libri, vestiti, oggetti usati. L’ambiente è festoso e i saluti sembrano famigliari. “Non mi interessa parlare di quello che è successo perché io non frequento la moschea, non vengo a pregare. Mi trovi qui ogni venerdì perché mi piace salutare gli amici, mangiare il cibo del mio paese, non vedo perché devo ascoltare quel signore là (l’imam, ndr). Tu sei cattolica e scommetto che non vai in Chiesa tutte le domeniche, o sì?”, mi risponde secco Samir quando gli chiedo cosa ne pensa di quello che sta succedendo a Parigi in queste ore.

LA BIBBIA È COME ARMANI

Al signore A., un banchiere di origine magrebina che da 25 anni vive tra Londra e Roma, piace invece parlare di politica. Alla Grande Moschea arriva con l’autista e non si avvicina nemmeno al mercato, va dritto a pregare: “Maometto era un uomo di pace, che considerava uguali a tutti gli essere umani. Quelli della Lega Nord, invece, non la pensano così. Vedi, quando a Ibrahim è stato chiesto di sgozzare il figlio Ismail, lui lo sostituì da un capretto e non fece vedere il coltello. Quelli che hanno ammazzato 12 persone a Parigi non sono veri musulmani. È una montatura, come quello dell’11 settembre. Com’è possibile che non c’era il sangue quando hanno sparato al poliziotto?”  “L’Islam significa pace – prosegue il banchiere -. La parola del Corano non è la parola di Maometto perché lui era analfabeta. La vostra Bibbia ve la scrivete voi. Ogni volta. Si rinnova ogni sette anni come Giorgio Armani. La nostra parola di dio è una sola e non parla di morte”.

LA RESPONSABILITÀ DEI MEDIA

Un altro musulmano cammina di fretta e non vuole fermarsi, anche se la preghiera sta per finire. Alla domanda risponde con un’altra domanda: “Quanti bambini muoiono ogni giorno in Siria? Io c’ero e in un giorno sono morti 380. Sono 40 anni che vivo in Italia e non ho paura di dire quello che penso”, ribatte quando si avvicina una telecamera che è stata allontanata dagli altri al mercato.

“Quello che sta succedendo non c’entra con la religione ma con i politici. È propaganda fatta dalla tv e dai giornali. Dietro ci sono gli Stati Uniti. Non possono più prenderci in giro”, mi spiega un ragazzo che vende scarpe usate.

IL DIRITTO DI UCCIDERE

Occhiali di marca, trucco impeccabile e abbigliamento elegante. Imar esce dalla moschea tenendo in mano sua figlia. Ha una voce calma e il sorriso fisso: “Quell’atto va condannato come un atto di violenza, non come un atto legato all’Islam. Un vero musulmano non potrebbe approvare mai un comportamento simile. Si tratta di una copertura compiuta per aggiungere più benzina al fuoco. Gente pagata per fare quello. Ma noi, veri musulmani, non ci offendiamo per le insinuazioni perché ci hanno insegnato a non cedere alle provocazioni”.

RISPETTARE L’ESISTENZA DI TUTTI

Ammette, quindi, che la tensione tra cattolici e musulmani c’è ed è destinata ad aumentare: “Noi rispettiamo e approviamo tutti, a differenza di altri. Un vero musulmano deve accettare l’esistenza di Gesù e Mosè. Se no, non è un vero musulmano. Nessuno ha il diritto di uccidere in nome di dio e questo un vero musulmano lo sa. Gli uomini che hanno ucciso quelle persone nel giornale a Parigi non ci rappresentano, non hanno nessun legame con l’Islam e con dio”.

PORTARE IL VELO A ROMA

Originaria dal Marocco, Imar è cresciuta in Italia e ha cominciato a indossare il velo da poco. “Molte donne lo fanno ma portano il velo e basta. Non sono donne musulmane dentro, consapevoli dei loro compiti e limitazioni. Io ho cominciato a portarlo solo quando mi sono sentita convinta. Non mi è stato imposto. Da quando lo faccio sono diventata una persona più cauta, serena e responsabile. Rifletto molto prima di parlare perché so che quello che faccio e dico ha un peso sulla comunità che rappresento. Sto attenta per me e per loro e sono diventata una persona migliore”.

STATO DI CONVIVENZA E RISPETTO

Sulle reazioni e possibili discriminazioni Imar mi spiega che nota sguardi sorpresi da chi non la conosce, ma nella azienda dove lavora e con i suoi vicini e amici non ha mai avuto brutte esperienza. “Ho amici ebrei molto religiosi. Nel nostro piccolo stiamo provando a creare uno stato di convivenza e rispetto, anche se qui non si può dire perché ti guardano male. In Palestina succede: convivono ebrei e musulmani. Solo che il mondo legge quello che dicono i mass media, tutte montature. Voi giornalisti non sapete la responsabilità che avete. Dovete essere scientifici, verificare le cose. Credo che se ci provassimo tutti a rispettare gli altri non saremmo arrivati a questo punto”.

IL VERO MUSULMANO

Mi siedo a mangiare accanto alla signora Fatima, che mi offre un po’ del suo cuscus. Mi racconta che non può andare in Marocco a trovare la figlia perché non ha ancora il permesso di soggiorno, che in Italia sta bene ma gli manca il suo Paese, la sua gente. Per venire a pregare in moschea il venerdì dichiara di essere malata al lavoro. “Oggi ho pregato per mia figlia e per loro, quelli che hanno ammazzato. Dobbiamo chiedere tutti per la pace”. Quando vado a pagare il mio pranzo è stato offerto da qualcuno che non conosco. Mi guardo attorno e la signora Fatima mi dice: “Tranquilla, qua è normale, il vero musulmano è così”.



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