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Perché il confronto tra Cina e India deve preoccupare

Cina e India, il dragone e l’elefante, due colossi mondiali, tre miliardi e mezzo di persone, il 40% della popolazione mondiale. Non solo le due nazioni più popolose del pianeta ma anche quelle in cui sembra giocarsi la partita del XXI secolo. Cina e India, secondo uno studio della Deutsche Bank, saranno nel 2020 rispettivamente la seconda e la terza economia mondiale dopo gli Stati Uniti. I due giganti asiatici si apprestano a riconquistare lo status appartenuto loro per millenni, quali civiltà più ricche e più avanzate, l’India come il più vasto esempio democratico al mondo, la Cina come il più imponente modello di stato autoritario. I due Paesi dopo decenni di sviluppi difficili cercano di coesistere pacificamente, consapevoli che i loro rapporti hanno oggi un impatto decisivo per la stabilità in Asia e nel mondo, ma anche per lo sviluppo economico stesso dei due Paesi e dei miliardi di persone che li abitano.

Le due civiltà si incontrarono sulla via della Seta due millenni fa, unite nell’esplorazione di nuovi prodotti e delle reciproche culture, fu proprio attraverso queste vie commerciali che il buddhismo giunse in Cina. In età moderna, i due Paesi si sostennero nelle rispettive lotte per l’indipendenza nazionale e contro il colonialismo. L’India ha raggiunto l’indipendenza dopo un lungo movimento pacifico di liberazione nel 1947, e nel 1950 fu il primo blocco non socialista a stabilire relazioni diplomatiche con la neo-costituita Repubblica popolare cinese. La fratellanza anti-imperialista assunse un’ampiezza e un’organicità quali non si erano mai avute in occasione della conferenza di Bandung nel 1955, dove un summit di 29 Paesi che avevano sofferto il colonialismo e l’imperialismo occidentale dichiarò l’Asia libera: il destino dell’Asia si decideva in Asia non più a Ginevra, né a Parigi, né a Londra né a Washington. In quell’occasione l’espressione “Terzo Mondo”, oggi banalmente sinonimo di sottosviluppo, assumeva il fascino di un nuovo schieramento politico, che non stava né con gli Stati Uniti, né con l’Unione Sovietica, ma cercava di divincolarsi dalla logica degli schieramenti. Nehru, mitigando le paure dei Paesi non-allineati, offrì alla Cina la prima grande occasione di uscire dall’isolamento internazionale cui gli Stati Uniti e le potenze occidentali l’avevano condannata. Per l’India la conferenza rappresentò una piattaforma di grande visibilità da cui enunciare le sue teorie di non allineamento e di coesistenza pacifica. Tuttavia, fu proprio in quest’occasione che Nehru aprì la questione dei confini sino-indiani e la necessità della loro definizione. I rapporti tra due giganti asiatici passarono così dall’amicizia allo scontro armato nel 1962. Il conflitto, eredità del periodo coloniale e della sua definizione dei confini durante la Conferenza di Simla del 1913-14, segnò il deteriorarsi delle relazioni fra le due potenze nelle rivendicazioni sull’Arunachal Pradesh o Nanzang e sull’Aksai Chin, dando vita ad una disputa ancora oggi irrisolta.

Il processo di normalizzazione tra i due Paesi è stato avviato nel 1988 con la visita del primo ministro indiano Rajiv Gandhi a Pechino, la quale segnò l’inizio di un miglioramento delle relazioni fra le due potenze. Nel 1993 la firma dell’accordo per il mantenimento della pace sulla linea di confine rimarcò la crescente stabilità nelle relazioni bilaterali. Il 1998, con i test nucleari indiani, ha segnato invece nuove tensioni nelle relazioni bilaterali, che tuttavia da allora non hanno smesso di migliorare. Pechino e Nuova Delhi oggi non si limitano a dispensare sorrisi e strette di mano ma annunciano cooperazione in settori strategici come quello energetico, il contrasto al terrorismo internazionale e dell’unilateralismo americano. Sul piano economico la Cina è il più grande partner commerciale dell’India, lo scorso anno l’interscambio ha raggiunto i 65,5 miliardi di dollari, con l’obiettivo di toccare quota 100 nel 2015. Visti questi risultati, Pechino suggerisce la creazione di una zona di libero scambio tra i due Paesi e una partnership strategica che oltre all’abolizione delle barriere tariffarie includerebbe una collaborazione in campo tecnologico, l’intensificarsi degli investimenti diretti e il coordinamento delle rispettive azioni in seno al Wto. Recentemente Xi e Modi hanno firmato dodici accordi economici, uno dei quali prevede l’investimento di venti miliardi di dollari in India nei prossimi cinque anni nel settore ferroviario, e la creazione di due parchi industriali nel Gujarat e nel Mahashtra.

In campo politico, i due Paesi nutrono inevitabilmente forti aspirazioni, alimentate dalla crescita economica e dalle dimensioni demografiche. La competizione geo-politica per le risorse energetiche è dunque un campo cruciale che motiva sempre più consistenti investimenti da parte delle due potenze in Africa e Asia. D’altro canto Pechino e Delhi stanno sviluppando progetti infrastrutturali concorrenti. La prima impegnata nella costruzione della road economic belt, la nuova via della seta, che seguendo le antiche rotte approda nel Mar Mediterraneo, la seconda sviluppando il progetto Mausam, che dovrebbe fare dell’India il fulcro del commercio marittimo nell’Oceano Indiano, coinvolgendo i Paesi dell’Africa orientale, la penisola arabica e il Sud Est Asiatico.

Nonostante il rapido sviluppo economico Cina e India necessitano ancora di consolidare la propria crescita e il loro modello socio-economico. La cooperazione, oggi imperativo della corsa allo sviluppo, potrebbe un giorno lasciar spazio alle questioni ancora aperte fra i due Paesi quali le dispute confinarie, l’alleanza sino-pakistana in campo nucleare e missilistico, e l’appoggio indiano alla causa tibetana. In fin dei conti, Pechino e Nuova Delhi hanno gli stessi obiettivi di accesso alla leadership internazionale ed egemonica in Asia. Ma l’Asia potrebbe rivelarsi troppo piccola per due giganti.

Maura Fancello, Università Tsinghua, Pechino


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