Stress test, Aqr, prove di solvibilità e quant’altro. Le banche italiane hanno fatto un figurone, quasi interamente promosse a pieni voti. Ma c’è qualcosa che a Eba e Bce forse è sfuggito. Ed è l’entità degli asset deteriorati, con gli impaired loan che nella prima metà del 2014 hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 305 miliardi di euro. Lo scrive la società di consulenza PwC in un report appena pubblicato. La buona notizia – se proprio si vogliono indossare gli occhiali dell’ottimismo – è che il tasso di crescita anno su anno è passato al 26%, dal 27% del 2013.
DOPO AQR E STRESS TEST
“In base agli Aqr alle banche era richiesto di avere un Common Equity Tier 1 (CET1) minimo all’8% – scrive PwC – mentre gli stress test fornivano uno esame prospettico della resilienza delle banche e della capacità di solvibilità in due scenari ipotetici, utilizzando anche informazioni tratte dagli Aqr. Nello scenario base alle banche era richiesto di stare sopra la soglia dell’8%, in quello avverso di non scendere sotto il 5,5%. Il risultato è che le banche hanno dovuto incrementare accantonamenti e coperture e attivarsi per definire strategie di deleveraging”.
ITALIA PRIMA DELLA CLASSE PER NPL
L’analisi di PwC mostra un maggior livello di non performing loan nel contesto europeo: la correlazione tra questi npl e il valore di mercato suggerisce che il processo di deleveraging possa avere un effetto benefico sui prezzi delle azioni.
Come noto, gli Aqr hanno richiesto un aggiustamento di 47,5 miliardi di euro per i bilanci bancari rispettassero gli standard, 12 miliardi sono per l’Italia. “Inoltre – spiega PwC – l’esposizione ai prestiti non performing era aumentata di 135,9 miliardi e complessivamente il Comprehensive Assessment ha identificato una carenza di capitale di 24,6 miliardi: 9,7 miliardi per l’Italia, senza considerare gli aumenti di capitale del 2014. Se si includono queste misure le banche che hanno fallito il testo sono solo Carige e Mps con carenze di capitale, rispettivamente di 814 milioni e 2 miliardi”.
MA LE BANCHE SONO FINALMENTE PRONTE AL DELEVERAGING
Fin qui i fatti noti. Quello che emerge di nuovo dall’analisi di PwC è che questi risultati hanno catalizzato l’attenzione dei manager bancari sulle strategie di riduzione degli Npl. “Crediamo che ci sarà un progressivo deleveraging che si espliciterà nel giro di 3-5 anni”. Nel frattempo, le banche italiane, nel confronto con le comparabili europee, avranno una profittabilità inferiore nel 2014 e di conseguenza un minor valore di mercato.
PIÙ NPL E PIÙ COPERTURE
Ma come è stata gestita la massa di Npl che dal 2008 al primo semestre 2014 non ha fatto che aumentare nelle banche italiane? Non in maniera brillante: perché è vero che per le “maggiori 20 banche italiane sono aumentati contestualmente dal 2013 e fino al terzo trimestre 2014 gli accantonamenti – scrive PwC – ma questo è avvenuto soprattutto per rispettare i criteri fissati dalla Bce con gli Aqr”. A giugno 2014 l’esposizione ai crediti incagliati era aumentata dell’8% rispetto al 2013: un trend guidato dagli Npl lordi che hanno toccato il picco di 170,3 miliardi a giugno 2014 (+9%), mentre “la quota di Npl netti è rimasta ragionevolmente stabile al 4,9% del totale dei crediti.
… MA ANCORA NON BASTA
Focalizzando l’attenzione sulle prime dieci banche italiane, si nota, secondo PwC, un aumento della quota di Npl netti dal 3,9% al 4,6% nel terzo trimestre 2014. Il livello di coperture è aumentato, invece, da una media del 54,7% al 55,2%. Se si allarga l’analisi alle prime venti banche, la quota di Npl è aumentata dal 4,1% al 5,4%, mentre le coperture sono passate dal 53,7% to 54,8%. Questo valore aumenterà ancora quando saranno disponibili i risultati di fine anno, poiché la stessa Bce lo aveva previsto nell’Aqr. Ma l’unica via d’uscita per ridare fiato e profittabile al nostro sistema bancario è il deleveraging. I cui frutti non si vedranno prima di tre anni.