Nella serie televisiva norvegese-americana Lilyhammer, prodotta da Netflix e NRK1, un mafioso di New York tenta di rifarsi una vita a Lillehammer, in Norvegia. Tra tutti i personaggi secondari della storia incuriosisce per la forte carica di attualità il figlio dell’imprenditore Julius Backe, un ragazzo con un difficile rapporto con il padre che decide di convertirsi all’Islam per quanto vede e ascolta su Internet.
Non è solo fiction. Negli ultimi anni, gli strumenti più curati dagli estremisti islamici sono i video diffusi su Youtube e Twitter. Con la dimestichezza dei migliori hacker, gli “addetti alle comunicazioni” delle organizzazioni terroristiche riescono a superare blocchi e censure. Costruiscono video sulla base del linguaggio occidentale, prodotti per un pubblico straniero perché sono loro che vogliono conquistare. Utilizzano testimonianze che invitano ad arruolarsi e combattere in nome di Allah con una produzione sofisticata: immagini in qualità HD, dissolvenze, zoom e inquadrature degne di un regista pluripremiato. Le sceneggiature sono blindate e nulla è lasciato al caso.
Gli estremisti dello Stato Islamico hanno capito la potenzialità delle nuove tecnologie, capaci di arrivare lì dove materialmente sarebbe fisicamente impossibile. Sono bombe potentissime lanciate a distanze. Mostrando quanto sono capaci di fare attraverso i video delle decapitazioni riescono a ferire la psiche di milioni di persone e diffondere il terrore e la paura, ma anche a sedurre e ai coinvolgere. Raccontando la soddisfazione di chi combatte al loro fianco conquistano più sostenitori, i più deboli e isolati della società. Altro che i VHS di Osama Bin Laden.
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