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Vi spiego perché è folle azzoppare le banche popolari. L’analisi di Longobardi (Unimpresa)

L’”Investment compact” che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha inteso approvare oggi in Consiglio dei ministri è volto a riformare completamente la governance delle prime dieci banche popolari (qui tutti i dettagli), eliminando il principio fondamentale della cooperazione, il voto capitario. Il tutto all’interno di un provvedimento che, secondo le intenzioni del governo, dovrebbe favorire le piccole e medie imprese, con una serie di agevolazioni e iniziative che facilitino l’erogazione di credito e l’avvento di capitali esteri in soccorso delle aziende operanti sul territorio nazionale.

Tuttavia la riforma delle banche cooperative non sembra porsi in questa direzione. E il tentativo dell’esecutivo di agevolare una concentrazione degli istituti di credito sembrerebbe andare a discapito di quei soggetti, famiglie e pmi, che già ora faticano a reperire la liquidità necessaria e che, soprattutto nel corso di questi ultimi e tribolati anni, hanno trovato degli interlocutori attenti e disponibili a supportarne le esigenze monetarie, e non solo, proprio nelle banche cooperative, che fanno della tutela e dello sviluppo del territorio la loro “mission”.

I numeri, in effetti, raccontano una situazione sostanzialmente positiva per quanto riguarda la relazione tra il credito popolare e la clientela. Sulla base dei dati forniti dalla Banca d’Italia e dell’analisi dei bilanci delle banche popolari e del credito cooperativo in generale, il Centro studi di Unimpresa ha stimato che tale categoria ha erogato, nel triennio 2010–2013, 6,3 miliardi in più di credito rispetto alla media del triennio precedente, di fronte a una contrazione pari a 52 miliardi per quanto concerne il resto del sistema bancario.

Nei primi 5 anni dallo scoppio della crisi, le banche di credito cooperativo, a livello europeo (dove rappresentano circa il 20% dell’ammontare complessivo del credito) hanno registrato numeri significativamente positivi, con un incremento della raccolta del 28%, mentre la clientela ed il numero dei soci hanno subito un aumento del 5% e del 4,5% rispettivamente.

In Italia le sole banche popolari rappresentano il 28% del sistema complessivo, e, se analizzate congiuntamente alle banche cooperative, arrivano a sfiorare il 40%. Si è, inoltre, osservato come la dinamica della contrazione del credito alle pmi e alle famiglie esibisca una relazione diretta con la dimensione della banca operante il prestito: infatti, nel quinquennio 2008–2013, il rallentamento più consistente si è manifestato da parte dei grandi intermediari, in particolare quelli appartenenti ai 5 maggiori gruppi, che hanno dimezzato l’ammontare dei prestiti concessi, contro l’aumento fatto registrare proprio dalle banche cooperative, le quali, nonostante le loro dimensioni, hanno esibito nello stesso lasso di tempo un rapporto tra credito e totale degli attivi di 16 punti percentuali (mentre su base europea risulta pari a 5) superiore rispetto a quello degli istituti di maggiore peso a livello nazionale. Il sistema funziona, meglio non toccarlo frettolosamente: il conto finale potrebbe arrivare sul tavolo delle pmi.

Paolo Longobardi, Presidente di Unimpresa


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