Una delle idee più diffuse in Italia è che tra Mario Draghi e Angela Merkel sia in corso da tempo, almeno dalla fatidica estate 2012, un gioco delle parti: la Bundesbank protesta, il presidente della Bce va dalla Cancelliera e lei lo lascia fare. Questa convinzione è stata espressa, dopo il varo del Quantitive Easing da mille e passa miliardi, in particolare dalla Repubblica. “La Germania ha ottenuto quel che voleva e ha concesso quanto le era stato richiesto; infine la Merkel si è convinta che l’intervento della Bce sia indispensabile”, ha scritto Eugenio Scalfari. Il giorno prima il quotidiano romano si era spinto a sostenere che la Bundesbank ha vinto imponendo a Draghi che venisse messo in comune solo il 20% delle perdite sui titoli acquistati. L’articolo di Scalfari ha il senso di una parziale correzione, in quanto spiega ampiamente che la clausola non è poi così influente perché scatta davvero solo nel caso improbabile in cui l’Italia vada in default.
Il Financial Times dà una immagine ben diversa del compromesso raggiunto, costruita non su opinioni, ma su una ricostruzione fattuale. Tra la Merkel e Draghi si è consumata una profonda divergenza a partire dall’agosto scorso, esattamente dal discorso tenuto dal presidente della Bce all’annuale convengo di Jackson Hole in Wyoming organizzato dalla Federal Reserve. La Dragonomics, illustrata con un intervento di spessore anche teorico, per la Kanzlerin rappresenta una svolta che apre la strada al superamento (se non al rifiuto) del dogma di politica economica chiamato con sintesi icastica austerità.
A dicembre, di fronte all’ormai prossimo lancio del QE, la Merkel ha riunito gli alleati di governo per discutere se prendere apertamente posizione contraria. Il ministero delle Finanze ha frenato e la Cancelliera ha taciuto. Ai primi di gennaio, durante la sua visita a Londra, Frau Angela ha detto privatamente al premier britannico David Cameron che il QE è “una idea davvero cattiva”. La settimana successiva Draghi si è recato a Berlino e l’incontro al vertice è stato descritto come “molto duro”. Sia la Merkel sia Schäuble hanno manifestato la loro convinzione che la Bce avrebbe offerto l’alibi per non fare le riforme e rifiutare la politica del rigore.
“Alla fine Draghi si è piegato alle condizioni della Bundesbank – scrive il Financial Times – Ma Berlino voleva molto di più. E la cancelleria è indignata dalla decisione della Bce di lasciare aperto il limite temporale del programma, con Draghi impegnato ad acquistate titoli finché l’inflazione non mostra segni di avviarsi al 2%. La sensazione è che Draghi abbia anteposto le preoccupazioni del mercato a quelle dei suoi maestri politici”. Lesa maestà da parte di Mario l’amerikano?
La ricostruzione del quotidiano vicino alla City è importante per chiarire come stanno le cose. D’altra parte, mentre François Hollande ha applaudito la mossa della banca centrale, la Merkel è rimasta zitta. Ma ancora più interessante è proiettare questo conflitto in avanti, a cominciare dalle conseguenze possibili se ad Atene vince Syriza e se (ipotesi per ora non realistica) la formazione di sinistra riuscirà a governare.
Le schermaglie si sono già viste. Il ministro delle Finanze tedesco pretende che la Grecia sia esclusa dal programma di acquisto di titoli se non rispetta gli accordi presi dal governo di Antonis Samaras. Ma non è Berlino a decidere quali titoli la Bce deve acquistare; la banca centrale non è indipendente?
La vera questione in ballo non è un terzo salvataggio della Grecia. Perché le trattative su un allungamento del debito per almeno altri dieci anni, cioè ben oltre il 2050, e una riduzione degli interessi (scesi già a mezzo punto base oltre l’euribor), sono a uno stadio avanzato sia con i tecnici dell’attuale governo sia con gli emissari di Alexis Tsipras. No. Il punto controverso è l’austerità.
L’idea che Syriza possa praticare politiche di espansione della domanda interna attraverso la spesa pubblica diventa il Rubicone oltre il quale c’è l’abisso. E’ vero, la Merkel a Firenze ha detto che la Grecia deve restare nell’Unione europea (non ha specificato se anche nella zona euro). E questo è anche l’impegno di Tsipras. Il problema sono le condizioni.
Se Syriza apre il vaso di Pandora, allora l’egemonia della Germania va a farsi benedire. Francesi e italiani potrebbero riavvicinare la Ue agli Usa, cosa che non piace alla cancelleria di Berlino impegnata in una ardita manovra da terza forza nei confronti sia della Russia sia del Medio Oriente. E nei think tank americani ormai si discute apertamente di una Germania che guarda sempre più a est.
Una virata del genere apre un effetto domino? Saranno i tedeschi a dire che loro alle nuove condizioni non ci stanno minacciando l’uscita dall’euro (visto che nella Nato possono fare le bizze, ma nulla più)? Se ne parla da tempo, anche se la stessa Merkel ha detto che “l’euro non ha alternative” (e Draghi non ha mancato di sottolinearlo nella sua intervista a Die Zeit pubblicata il 15 gennaio).
Impossibile prevedere le prossime mosse, soprattutto perché sono entrate in campo questioni ideologiche e di primazia politica, le più gravide di pessime conseguenze.
Stefano Cingolani