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Renzi, Berlusconi, Sciascia e Flaiano (a proposito di Quirinale e di No Tav)

Come ricorda Giovanni Sartori in un aureo libretto (“La democrazia in trenta lezioni”, Mondadori, 2008), le tecniche elettorali non ci arrivano dai greci (che di norma ricorrevano al sorteggio), ma dagli ordini religiosi, dai monaci arroccati nei conventi-fortilizi che nell’alto Medioevo dovevano eleggere i propri superiori.

Non potendo ricorrere né al principio ereditario né a quello della forza, non restava che ricorrere al voto. E dobbiamo a loro l’invenzione del voto segreto e delle regole maggioritarie. In realtà, alla fine l’elezione doveva risultare unanime, o quasi (i riottosi venivano convinti a bastonate). Può darsi che Renzi e Berlusconi non lo escludano per la scelta del nuovo Inquilino del Colle.

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Un leader storico del movimento No Tav ha definito “vendetta di Stato” le 47 condanne inflitte dal Tribunale di Torino per gli scontri del 2011 in Val di Susa. E oggi inizia il processo contro Erri De Luca, accusato di istigazione a delinquere per aver incitato al sabotaggio dell’opera.

Premesso che considero sbagliato il rinvio a giudizio dello scrittore, considero anche una solenne sciocchezza le opinioni espresse sia dal leader No Tav sia dallo scrittore. A questo punto, ho ripensato alle parole profetiche di Leonardo Sciascia: “Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile […]. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato, nel discorso problematico e capillare.

Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Sono pericolosi questi cretini dai discorsi problematici, perché
alla loro imbecillità si aggiunge il fanatismo” (“Nero su nero”, Einaudi, 1979).

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“Bisogna tornare ai fondali di carta, alle porte che non chiudono, al suggeritore sotto la cupola, alle luci di ribalta, alla sonagliera della carrozza in arrivo. Bisogna vedere un pezzetto di pompiere dietro le quinte […]” (Ennio Flaiano, “Diario degli errori”, Adelphi, 2002).

È uno dei tanti passi che dimostrano come nel gran pescarese la passione per il teatro fosse perfino più forte di quella per il cinema. Per lui il palcoscenico era il luogo in cui viene messa in scena una falsità più autentica della realtà; rappresentava la superiorità dell’arte sulla natura, dei “fondali di carta”, appunto, sul presunto realismo delle immagini.

Se il paragone non pare troppo ardito, in fondo Renzi è come Flaiano immaginava il teatro: falso e affascinante. In questo senso, degno erede – prima ancora di Berlusconi – di uno che se ne intendeva molto di più: Ronald Reagan, il primo a definire (nel 1966) la politica “un’industria dello spettacolo”.


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