Tra centinaia di emendamenti e sub-emendamenti procede in Senato la discussione sulla riforma della PA, che prevede diverse deleghe al Governo su molti aspetti rilevanti dell’organizzazione e l’attività delle amministrazioni pubbliche. Non pochi gli aspetti potenzialmente critici su cui ho avuto modo di esprimermi in diverse occasioni, e che possono essere riassunti nel rischio della precarizzazione della dirigenza pubblica e la sua pericolosa dipendenza dalla politica. A leggere, tuttavia, gli emendamenti proposti dal relatore di maggioranza, è in arrivo un’altra amara sorpresa: la sostanziale esautorazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA), probabilmente sconosciuta ai più, ma che dal 1997 a oggi ha selezionato e formato circa 500 dirigenti, spesso ragazze e ragazzi che in un ufficio pubblico non avevano mai messo piede, grazie al sistema francese del cosiddetto corso-concorso. Come funziona? Si bandisce un concorso di accesso alla Scuola sulla base dei bisogni espressi da ministeri ed enti in tutta Italia, che riservano il 50% dei posti alla selezione tramite Scuola. I vincitori sono ammessi ad un corso di almeno un anno: dopo esami su materie giuridiche, economiche e manageriali, una prima tesi, un periodo di tirocinio di sei mesi in Italia o a Bruxelles e una tesi finale, si arriva ad una graduatoria con diritto di scelta degli uffici da andare a gestire. Dirigenti chiavi in mano, insomma.
Ricordo bene quando entrai io, sull’onda delle grandi promesse di cambiamento delle riforme di fine anni ’90, con la testa piena di esagerata aziendalizzazione della PA e delle tre “e”: efficienza, efficacia, economicità. Neo allievi della Scuola, ci trovavamo tutti i giorni nel brutto palazzone vicino allo Stadio Olimpico a Roma, fianco a fianco nelle aule, ore e ore a cercare di capire come far funzionare meglio lo Stato. Decine di ragazzi con formazioni diverse, qualcuno già pubblico dipendente, altri neolaureati o provenienti dal mondo del privato, a prendere appunti, discutere, scherzare. Mesi di corsi ed esami, durante i quali sono nate amicizie, antipatie, amori, ma sempre col senso di una squadra che si allenava per uno scopo. Avevamo scelto di tentare la carta della Scuola dell’Amministrazione perché nella PA volevamo proprio lavorarci: nessun ripiego, volevamo fare i dirigenti dello Stato. Non casualmente Carlo Azeglio Ciampi nel 2002, in un discorso al Quirinale in occasione dei cinquanta anni della Scuola, parlò della necessità di una “vendemmia” della dirigenza, per reclutare anno per anno i giovani migliori e più motivati cui affidare pezzi importanti della PA. Insomma una delle poche, sostanziali novità nella gestione della cosa pubblica, che pure oggi abbisognerebbe di tante correzioni di rotta, come, ad esempio, rendere la selezione e la formazione sempre meno di stampo amministrativo-contabile e sempre più tese a fornire gli strumenti di gestione di risorse umane e finanziarie orientate al risultato e ai bisogni dei cittadini.
Eppure, stiamo forse per assistere al requiem per la SNA, ridotta a agenzia di accreditamento per non precisati enti di formazione, come ha ben spiegato il Corriere della Sera qualche giorno fa. Se a questo aggiungiamo che chi verrà selezionato dal corso-concorso (chissà con quali modalità pratiche) dovrà in ogni caso essere impiegato per ben quattro anni come funzionario prima di approdare alla dirigenza, diventa davvero incomprensibile come questo disegno si concili col Governo della rottamazione, con l’età media più bassa della storia repubblicana. Eppure, neanche un anno fa la Ministra Madia dichiarava al Parlamento che “il sistema di reclutamento e formazione assicurato dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione ha garantito la selezione di dirigenti di ottimo livello”, reputando utile “estendere questo meccanismo fortemente selettivo anche all’altro 50% della dirigenza. Il reclutamento e la formazione costituiscono un grande investimento che lo Stato fa in ciascun dirigente pubblico: questo investimento va valorizzato, con un percorso di carriera che consenta di impiegare adeguatamente i dirigenti”. Con un repentino dietrofront, invece, passando sopra il fatto che una recente legge aveva riunito sotto la SNA le altre Scuole di formazione pubbliche (e ora che succederà?), il blitz sta impietosamente a testimoniare un approccio davvero riduttivo alla riforma della PA: un respiro corto che, invece di immaginare come rimettere in carreggiata una macchina che tutti hanno voluto guidare per conto proprio, valorizzando il meglio che può offrire e puntando sul capitale umano, si affanna troppo spesso a tagliare qua e là, radendo al suolo invece di seminare. E, come non bastasse, insistendo pervicacemente con le nomine della dirigenza politica: davvero eclatante il recentissimo caso della ex senatrice del PD, funzionaria dell’Istruzione, catapultata alla Direzione Generale della Toscana e rigettata dalla Corte dei Conti.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento di fronte al Parlamento, ha fatto espresso riferimento alla Pubblica Amministrazione “che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni”. Parole da sottoscrivere su cui Governo e Parlamento dovrebbero riflettere con grande attenzione, proseguendo nell’azione di riforma, che pure è necessaria, ma senza buttare via il bambino con l’acqua sporca. Le riforme camminano sulle gambe delle donne e degli uomini che fanno funzionare lo Stato: reclutiamo i migliori per farlo.