Yanis Varoufakis, già battezzato il Bruce Willis della politica europea, è tornato da Francoforte con le pive nel sacco oppure con Mario Draghi è cominciato un negoziato che si sposta a Bruxelles e sarà duro, difficile, ma forse alla fine fruttuoso?
Le interpretazioni del giorno dopo non convergono. L’unica certezza è che la Bce ha bloccato i finanziamenti alle banche greche: i titoli di Stato non valgono più come garanzia visto che il governo Tsipras rimette in discussione unilateralmente gli accordi del suo predecessore. Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera lo legge come un segnale di fermezza contro le “invisibili trame” di chi vuole far crollare l’euro del quale la Bce resta il baluardo sicuro. Carlo Bastasin sul Sole 24 Ore scrive che “poteva finire con uno scambio di ricatti, il linguaggio invece sembra conciliante”. Danilo Taino, ancora sul Corriere della Sera, cita un dispaccio della Reuters secondo il quale, in base a informazioni di una fonte anonima della stessa banca centrale, Draghi “ha invitato il governo di Atene a impegnarsi costruttivamente e velocemente con l’Eurogruppo per assicurare la continuazione della stabilità finanziaria”.
Insomma, la Bce rimanda la palla ai governi dell’Eurozona. “Non sarà, dunque, la banca centrale a risolvere i problemi di Atene perché non può – aggiunge Taino – ma non farà nemmeno nulla contro perché non vuole”. Né aderire né sabotare? Draghi fa il Pilato? No, ristabilisce i confini della politica monetaria in generale (non solo quindi del suo mandato) rispetto a quelli della politica fiscale, due delle tre frecce della Draghinomics (l’altra riguarda le riforme di struttura ed è oggi di gran lunga quella più avvelenata per Tsipras & Co.).
La Bce ha oltrepassato lo steccato più volte in questi anni. E’ accaduto nell’agosto del 2011 con le lettere al governo italiano e al governo spagnolo nelle quali enunciava un vero e proprio programma di politica economica, provocando la caduta di Berlusconi e di Zapatero. Lo ha fatto poi con la trojka, cioè partecipando con la Ue e il Fondo monetario a elaborare e implementare ricette di politica fiscale (di politica tout court, non c’è nulla di più politico delle tasse) che non competono a chi detiene i cordoni della moneta.
La mossa di Draghi non sfugge alla logica della politica: mette il governo Tsipras con le spalle al muro, può provocare un terremoto con conseguenze non prevedibili. Ma potrebbe essere letta anche come un ravvedimento, se non proprio un’autocritica, se è vero che la Bce è pronta a sganciarsi dalla trojka che così finirebbe di esistere. L’invito a rivolgersi ai governi sembra andare proprio in questa direzione.
Secondo Giavazzi “la sospensione del finanziamento delle banche è un primo passo nella direzione che potrebbe portare alla uscita della Grecia dall’Unione monetaria. L’obiettivo strategico di chi oggi è così accondiscendente verso Tsipras era dare scacco matto alla Bce, costringendola a violare apertamente i trattati… Ma da ieri i nemici dell’euro devono sapere che Francoforte rimane il presidio della moneta unica”. E’ l’unico vero presidio?
La cancelleria di Berlino ha continuato a tirare in ballo una trojka ormai delegittimata e svuotata di senso. Non solo, si è venduta anche il consenso di Parigi e Roma su una linea di continuità assoluta con il passato. Se l’Unione europea e i suoi tre principali azionisti (Germania, Francia, Italia) facessero come le tre scimmiette di fronte alla nuova crisi greca, una crisi politica più che economica, che richiede soluzioni politiche (come Draghi ha ricordato, val la pena ripeterlo), allora l’euro così come lo conosciamo potrebbe davvero chiudere la sua travagliata e non gloriosa avventura. Altro che occulti, i nemici stanno uscendo allo scoperto e non s’annidano solo sotto l’Acropoli.
Esistono soluzioni praticabili per una tregua che salvi la faccia ai contendenti? Martin Wolf sul Financial Times ha invitato a essere morbidi sul debito e duri sulle riforme. Le scappatoie tecniche abbondano, da mesi tutti i pensatoi sono al lavoro per cucinare pietanze più o meno amare. A questo punto, la vera partita si gioca sulla leadership europea, cioè sull’accettare o no l’egemonia tedesca.
Stefano Cingolani