Scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera che condividiamo con gli scimpanzé un’abitudine, il processo di bandwagoning per cui sconfitto un capo si instaura un altro maschio alfa a cui anche i membri dell’altra tribù corrono a rendere omaggio: saltano sul carro del vincitore. Si tratta di un processo di assoggettamento volontario con cui viene riconosciuta l’autorità del vincitore. Fino a quando non arriverà un altro che lo sconfiggerà e ricomincia il ciclo. La differenza sostanziale, però, sottolinea Panebianco, tra noi e loro è che “fra gli umani, nel bandwagoning è sempre presente una dimensione comica. Perché gli umani sembrano obbligati a negare la vera ragione per cui saltano sul carro del vincitore, ossia il fatto che, come tutti, tengono famiglia. Sono costretti ad inventarsi i più nobili motivi, dichiararsi solennemente interessati solo al bene del Paese: non lo fo per piacer mio, eccetera“. Come non essere d’accordo.
Questo è esattamente il nocciolo della questione: che lo sconfitto venga abbandonato a se stesso non è niente di nuovo. Sicuramente un atteggiamento cinico, ma rientra nella normalità delle sfide di potere. Purtroppo, o per fortuna, il Potere non si fa scrupoli: si serve di chi può contribuire al suo scopo, e si sbarazza di tutti gli altri. Ciò che dà fastidio, e anche tanto, è il tentativo di mascherare questo cinismo dietro a grandi ideali o scelte strategiche cruciali per il bene superiore del Paese.
Parliamoci chiaro: il cambio di casacca, l’appoggio spassionato per il leader forte di turno, non ha nulla a che vedere con grandi ideali o grandi valori. C’è dietro un semplice, cinico e banale, calcolo costi/benefici. Questo vale ovviamente a prescindere dall’età, dall’estrazione sociale e dall’appartenenza politica. Quando discuto con gente vicina alle mie posizioni politiche circa questi cambi di casacca, le loro risposte spesso evasive, giustificative e pure solidali con le scelte prese, in questo caso dalla ex-Scelta Civica, di Mario Monti; mi lasciano perplesso per tre motivi:
a) o l’interlocutore è davvero ingenuo e crede nel fantastico e magico mondo di Oz, ai coniglietti rosa nei giardini dai mille colori,
b) si prende gioco della mia intelligenza e di quella di milioni di altre persone,
c) è pienamente in malafede.
In tutti e tre i casi c’è da esser poco sereni.
Quello che sarebbe da dirsi, almeno tra di noi, è che questi cambi di sponda, che un più giovane e forse imprudente Matteo Renzi criticava con forza, sono da tenere sempre in conto nei giochi politici all’italiana. Quelli fatti di opportunismi e di scelte prese con il solo obiettivo di garantirsi una sopravvivenza politica. In che modo? Ma signori miei, con le prossime candidature: Scelta Civica non esisteva già più, un manipolo di gente che non sarebbe più stata eletta e che con il PD a porte girevoli trova oggi una buona opportunità per essere piazzato in qualche listino bloccato, se passa la riforma della legge elettorale così stabilita, e che stanno di fatto (lo hanno già fatto) ceduto la loro credibilità in cambio di una poltroncina.
C’era qualcuno, sempre del PD, che rimproverava a Sergio Cofferati di non essersi dimesso da europarlamentare dopo l’uscita dal partito. Perché lo stesso discorso non viene fatto ai nuovi responsabili di Scelta Civica?
Anche in questo caso: due pesi e due misure.
Intanto, Matteo Renzi una cosa è riuscita ad ottenerla, e lui in questo caso ne esce vincitore e stratega: la maggioranza in Senato ora c’è ed è salda, mentre l’opposizione è quasi scomparsa. Berlusconi è a terra e malgrado i suoi schiamazzi su rischi di derive autoritarie, ormai non ha più il controllo sui suoi stessi eletti: fine di un era, seconda parte. Vediamo dove finiamo.