“Questa economia uccide” è il titolo che Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi hanno voluto scegliere per il libro che oggi presentiamo. Il volume è dedicato alla visione sociale ed economica di Papa Francesco, che approfondisce così come emerge dalla Evangelii Gaudium e dai numerosi interventi nei quali il Papa ha affrontato ed approfondito tali tematiche, compresa un’inedita illuminante intervista dello stesso Pontefice. Gli autori hanno scelto un titolo forte capace di scuotere. L’espressione più dirompente usata dal Papa a proposito di economia. Ed hanno fatto bene: perché la situazione determinata dalla globalizzazione, e dalla sempre più evidente egemonia dell’economia finanziaria, costituisce un “unicum” nella storia dell’umanità. Un “unicum” tanto sconvolgente da esigere tinte forti, anzi fortissime, per spiegarlo e farlo comprendere.
Quest’osservazione vale, anche e soprattutto, per i problemi del mondo del lavoro ai quali, proprio per la natura ed il carisma del nostro Movimento, siamo specificamente interessati. E’, infatti, innegabile e di tutta evidenza che, già negli ultimi decenni del secolo scorso, con l’affermarsi della globalizzazione e della egemonia della finanza sull’economia reale si sono consolidate teorizzazioni e scelte che hanno frantumato la centralità del lavoro cancellando, di fatto, l’occupazione dall’ordine delle priorità sociali.
E’, così, nato un pensiero economico “eticamente distorto” che teorizza la cosiddetta “jobless growth”: la crescita economica senza creazione di posti di lavoro”. Tale pensiero si concretizza in devastazione sociale laddove il progresso tecnologico consente di produrre sempre più beni e servizi con minore impiego di persone e, soprattutto nelle delocalizzazioni, laddove l’assoluta autonomia dei mercati e la conseguente libertà dei movimenti di capitale mette a contatto i capitali con altri capitali, bypassando di fatto il lavoro. Ricchezza finanziaria crea ricchezza finanziaria. Il risultato è una divaricazione sempre più forte fra redditi da lavoro e profitti, tra crescita economica ed occupazione. Tale fenomeno Papa Francesco lo ha colto, in anticipo sui tempi, al suo primo profilarsi quando, come primate d’Argentina, sperimentò, in prima persona, il crudele e devastante approccio con quell’“imperialismo internazionale del denaro” di cui, dopo la crisi del ’29, Pio XI scrisse nella Quadragesimo anno.
“Il nuovo imperialismo del denaro toglie di mezzo il lavoro, che è il modo in cui si esprime la dignità dell’uomo e la sua creatività, che è l’immagine della creatività di Dio. L’economia speculativa non ha più bisogno neppure del lavoro, non sa che farsene del lavoro. L’economia speculativa insegue l’idolo del denaro che si produce da se stesso. Per questo non si hanno remore a trasformare in disoccupati milioni di lavoratori”. Con queste parole – in un’intervista rilasciata nel 2002 – Francesco descriveva il dramma del crac argentino. Un’esperienza che di lì a pochi anni, nel 2008, avrebbe devastato e sconvolto l’intero pianeta con la crisi dei derivati partita dagli Usa. In queste parole, del futuro Papa Francesco, è opportuno richiamare l’attenzione sulla definizione del lavoro come “modo in cui si esprime la dignità dell’uomo e la sua creatività che è l’immagine della creatività di Dio”. Un tema sul quale egli ritornerà sistematicamente, da Pontefice, non solo nella Evangelii Gaudium ma anche in occasione delle sue visite pastorali: in particolare nella Sardegna flagellata dalla crisi e dalla disoccupazione.
In quell’occasione il Papa ne parla in modo semplice e diretto aprendo uno squarcio che consente di vedere le ragioni profonde della crisi “La mancanza di lavoro ti porta a sentirti senza dignità! Dove non c’è lavoro manca la dignità! E questo non è un problema della Sardegna soltanto… non è un problema soltanto dell’Italia o di alcuni Paesi d’Europa, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia; un sistema che ha al centro un idolo che si chiama denaro”.
Infatti, specifica il Papa “La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano!”. Ed ovviamente la negazione del primato dell’essere umano porta immediatamente con sé il disconoscimento del valore della persona e di conseguenza della centralità del lavoro, che viene ridotto a semplice “variabile dipendente” delle esigenze del profitto e dei mercati con tutte le devastazioni e tragedie che ne conseguono. Il primato della persona e la centralità del lavoro nel processo economico produttivo sono incompatibili “con un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni, il consumo”. Deve essere comunque ben chiaro che questa estrema, e più che giustificata crudezza, nelle parole che Papa Bergoglio usa per illustrare le ragioni profonde della crisi, non indulge in alcun modo né alla resa né al pessimismo di una visione rinunciataria. Anzi, al contrario, il Papa chiude il suo discorso in Sardegna con un vero e proprio appello: “Lottiamo tutti insieme perché al centro, almeno della nostra vita, sia l’uomo e la donna, la famiglia, tutti noi, perché la speranza possa andare avanti… Non lasciatevi rubare la speranza!”.
Ma il Papa non si limita soltanto ad un appello; indica anche la strada concreta attraverso cui mobilitarsi e costruire: la strada della solidarietà. Francesco spiega l’urgenza e l’esigenza di “ripensare la solidarietà, non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo e di tutti gli uomini”. Non è, infatti, “la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile; non è questa, ma la cultura della solidarietà; la cultura della solidarietà è vedere nell’altro non un concorrente, o un numero, ma un fratello. E tutti noi siamo fratelli!”.
Diventa, a questo punto, di tutta evidenza come la strada per una vera, sana ed equilibrata crescita economica debba necessariamente passare attraverso il rovesciamento dei falsi idoli e dei falsi valori che la “finanza globale” impone. Un rovesciamento che Papa Francesco sintetizza magnificamente in una brevissima ed efficacissima frase: “Il denaro deve servire e non comandare”. Questo ripensamento globale di tutto il sistema, secondo la logica della solidarietà, incrocia necessariamente la cruciale questione della partecipazione. Nella società egemonizzata dall’economia finanziaria assieme al lavoro diminuisce anche la partecipazione sia in senso generale, di partecipazione politica, sia di partecipazione economica. La “dittatura del denaro” svuota di ogni contenuto tanto la democrazia politica che quella economica. E’, invece, proprio dalla partecipazione che bisogna ricominciare se davvero si vuole il “ripensamento globale di tutto il sistema”.
L’annichilimento della economia produttiva reale da parte della finanza speculativa crea, infatti, una nuova e diversa contrapposizione che supera e vanifica la vecchia contrapposizione marxista tra capitale e lavoro: quella tra produttori (lavoratori ed imprenditori, soprattutto se piccoli e medi) e speculazione finanziaria. In questo quadro diventa essenziale e strategico il rilancio della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa ed il rafforzamento dell’impresa cooperativa e solidaristica. Temi tradizionali per la Dottrina Sociale della Chiesa che, nel nuovo e tragico contesto della globalizzazione finanziaria, tornano a manifestare, con forza dirompente, tutta la loro attualità.