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Le strambate di Tsipras e Varoufakis

Un programma socialdemocratico. E’ questo stringi stringi il succo della lettera che Yanis Varoufakis ha inviato a Bruxelles. Il che alimenta le critiche a sinistra di chi sospetta da tempo che il ministro in stile Bruce Willis non sia altro che un menscevico. Figurarsi, c’è perfino la flex-security, il pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione, il no alle auto blu e la spending review che, uscita dalle porte di Roma, entra in quelle di Atene. Le sette paginette arrivate ieri contengono ancora soltanto degli impegni in alcuni casi generici (tipo la lotta all’evasione o al contrabbando) e senza quantificarne gli effetti. E’ chiaro, però, che Alexis Tsipras è stato costretto a un bagno di realismo.

L’impostazione di fondo tende a moralizzare la vita pubblica, rendere più efficiente l’amministrazione, ridurre la grande, anzi immensa area di lavoro nero e i privilegi degli statali e dei baby-pensionati. C’è un passaggio a pagina tre sotto il capitolo “Riforma della sicurezza sociale” in cui si assume l’impegno di “eliminare le scappatoie e gli incentivi che danno luogo ai pensionamenti anticipati, specificamente nelle banche e nel settore pubblico”. Per ridurne l’impatto sociale (potremmo dire per ammortizzare l’effetto esodati ben conosciuto in Italia) si immagina una “assistenza ai dipendenti tra i 50 e 65 anni”, cioè quelli che fino ad oggi sono andati in pensione senza averne maturato il diritto.

L’altra cifra chiave è una politica fiscale redistributiva. Ne ha facoltà, il trattato di Maastricht la lascia tutta in capo ai governi nazionali, purché non violi gli equilibri finanziari. E qui viene il bello. Varoufakis non fa riferimento a quegli espropri del capitale minacciati nei comizi e paventati dagli armatori. Parla di riforma dell’Iva, modifica della tassazione sugli investimenti e sulle rendite, una modernizzazione del codice fiscale, oltre alla riduzione dell’evasione e dell’elusione. E dov’è finita la patrimoniale? Si vedrà se ce ne sono le condizioni.

Nella sostanza la lettera accetta i parametri indicati dalla Ue. Un fumo riformista da gettare negli occhi degli eurocrati per guadagnare tempo? Non lo si può escludere. Ma la netta sensazione è che il governo Tsipras abbia ingoiato l’amara pillola e ora stia cercando di indorarla. Intendiamoci, lo zuccherino è una componente essenziale nell’arte della politica. Fuor di metafora, conquistare spazi di flessibilità serve per ridurre l’impatto sociale del rigore nei conti pubblici e per attutirne l’impatto sulla domanda interna e sulla congiuntura economica. Se vogliamo dirla tutta, serve a correggere gli errori commessi finora seguendo l’austerità con l’elmetto a punta. Tsipras ha ragione a cercare degli ammortizzatori, come del resto ha fatto anche Renzi.

Tuttavia la lettera non consente di dare un giudizio cifre alla mano su quel che faranno per davvero Syriza e il suo alleato di destra. C’è troppa diplomazia, troppa politique politicienne, perfino nella ricerca astuta delle formulazioni che possono andar bene a Bruxelles senza rischiare nuove fiaccolate in piazza Syntagma. Per esempio, si prende l’impegno a non bloccare le privatizzazioni già decise. E le altre? Non verranno automaticamente cancellate, ma seguiranno il criterio di “massimizzare i benefici a lungo termine per lo Stato”, anche qui una formula buona per tutte le stagioni. Sul mercato del lavoro, si punterà a realizzare le migliori pratiche internazionali con l’aiuto dell’Ocse e con la contrattazione attraverso un “appoggio intelligente della contrattazione salariale che bilanci flessibilità ed equità”. L’aumento del salario minimo viene confermato “in una maniera che salvaguardi competitività prospettive dell’occupazione”. Come si dice in greco un colpo al cerchio e uno alla botte?

Un capitolo importante riguarda le banche oberate dai prestiti inesigibili. Verrà utilizzato pienamente il fondo di stabilità ellenico in collaborazione con la Bce, la Commissione europea e il meccanismo di supervisione. Il testo resta a un livello metodologico, ma questa è materia per Mario Draghi e i suoi uomini. Come si vede, sparisce la trojka, ma non le istituzioni che la componevano.

E il debito sul quale ci si è accapigliati, l’alfa e l’omega della tragedia greca? Abbandonata la remissione, il perdono, la ricusazione, prevale anche in questo caso una logica redistributiva. Si tratta di “calibrare i pagamenti in modo da bilanciare default strategico e incapacità di pagare; decriminalizzare i debitori a basso reddito; offrire la possibilità di sopravvivere a imprese potenzialmente solventi, evitare moral hazard, rinforzare la responsabilità sociale e una appropriata cultura del rimborso”. E non manca nemmeno una spolverata di riscossioni forzate delle tasse non pagate. Insomma, nessun roboante rifiuto di pagare, anche se il diavolo s’annida nei dettagli e i dettagli non ci sono ancora.

Per valutare davvero la portata delle proposte greche bisogna capire che margine di flessibilità avrà il governo (cioè in concreto di quanto si ridurrà il surplus primario rispetto all’attuale 4,5% annuo). E soprattutto se potrà avere accesso ai finanziamenti europei, sia a quelli immediati sia a quelli futuri, anche se non rispetta alla lettera il memorandum della trojka, pardon dalle tre “istituzioni”. Non siamo ancora arrivati alla fine. Siamo all’intervallo tra il quarto e il quinto atto. Il primo comincia con le cifre false, il secondo con il salvataggio del 2010, il terzo con il secondo salvataggio due anni dopo e il quarto con la vittoria di Syriza. Il quinto si aprirà con il via libera della Ue, ma non possiamo certo sapere su quale scena calerà il sipario.

Stefano Cingolani



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