Skip to main content

Tutte le strategie di Google in Europa

Tempo di bilanci e nuovi progetti per Google sul fronte Europa. Il colosso di Mountain View sembra aver accettato il guanto di sfida lanciato da leader politici e competitor del Vecchio continente per cambiare e rendere più incisivo il suo business, di fronte al tentativo di questi ultimi di indebolire e scalfire la sua potenza.

LA FUSIONE DELLA DUE UNITÀ OPERANTI IN EUROPA

Dopo un anno di battute d’arresto a Bruxelles, Berlino e non solo, la società di tecnologia – secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Financial Times – ha deciso di far confluire tutte le operazioni europee sotto un’unica direzione. Entrando nel dettaglio dell’operazione, Google ha reso noto di aver fuso due unità, quella che sovrintendeva l’area dell’Europa settentrionale e centrale con quella relativa all’Europa meridionale ed orientale, il medio oriente e l’Africa, in un’unica divisione gestita dal quartier generale di Londra da Matt Brittin, presidente dell’Emea Business & Operations.

LE PRESSIONI E LE RICHIESTE DELL’EUROPA

Una sterzata era fondamentale nel momento storico che BigG sta vivendo. L’Europa, infatti, sta letteralmente mettendo sulla graticola il colosso di Mountain View, per una serie di questioni: dall’imposizione fiscale alle accuse di aver abusato del proprio potere per ostacolare i competitor. Ci sono inoltre, pressioni sulla sorveglianza globale, il problema del dominio commerciale sollevato dall’antitrust che ha riaperto, per mano della responsabile Margrethe Vestager, un’indagine che potrebbe protrarsi per molto tempo e portare a delle sanzioni multimiliardarie, dopo il fallimento di tre procedimenti sotto la conduzione del predecessore, Joaquín Almunia. Senza contare tutta una serie di richieste avanzate dai singoli governi: Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Italia. Ciascuno di loro ha questioni “in sospeso” con Google.

IL CONTENZIOSO CON L’ITALIA

Per quanto riguarda il Belpaese, il colosso di Mountain View avrebbe raggiunto un accordo con il fisco italiano e – secondo quanto riporta Il Corriere della Sera -, con un assegno da 320 milioni di euro alla mano, avrebbe messo fine al contenzioso sui vantaggi fiscali di cui avrebbe goduto in passato: un imponibile da 800 milioni prodotto in Italia tra il 2008 e il 2013. Secondo le contestazioni, i profitti della raccolta pubblicitaria nel nostro Paese sarebbero stati registrati all’estero.

LA QUESTIONE DELLA PRIVACY

Non solo, i governi europei e l’Ue stanno ultimando la definizione di una nuova e restrittiva legge sulla tutela della privacy – sulla spinta delle richieste fatte da individui che desiderano la rimozione del proprio nome dai risultati di ricerca -, che rientra in un più ampio impegno a formare un unico mercato digitale che faccia da collante tra le frammentate normative europee e che indichi, così, uno standard unitario per la privacy online, il copyright e i diritti dei consumatori.

IL RUOLO DI MATT BRITTIN

Matt Brittin ha spiegato che il nuovo assetto si adeguerà maggiormente al modo in cui i pubblicitari, gli sviluppatori, i creatori di contenuti e le compagnie telefoniche, quindi i clienti e i partner di Google, operano in Europa. Brittin diventerà l’unico punto di riferimento e di contatto per le authority e il mondo della politica, mentre Carlo D’Asaro Biondo, che sovrintendeva l’area dell’Europa meridionale e orientale, d’ora in avanti avrà il compito di stringere alleanze strategiche, in particolare con settori quali le telco, i media e gli editori, lavorando in collaborazione con i team di prodotto e le diverse funzioni interne. La precedente struttura era stata istituita da Nikesh Arora, chief business officer di Google, poi sostituito da Omid Kordestani, che aveva creato due unità per incentivare la concorrenza tra il personale di Google della regione.

UN MODELLO ADOTTATO GIÀ DA ALTRI GRUPPI AMERICANI

Ma il colosso di Mountain View non è l’unico ad aver compiuto una ristrutturazione interna. Richard Holway, presidente TechMarketView, ha spiegato che altri grandi gruppi statunitensi hanno già adottato il sistema del raggruppamento unitario proprio perché è necessario che «l’Ue parli con una sola voce per quel che riguarda le grandi aziende tech». «Non si può essere sempre non convenzionali» dice. «Questo fa parte del processo di evoluzione di Google perché adesso sta adottando lo stesso tipo di struttura societaria già ampiamente sperimentata in Europa».



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter