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Investimenti pubblici, così Lupi e Madia possono zittire le nuove polemiche

Le leggera, e flebile, indicazione di una possibile ripresa economica, e le voci (peraltro incontrollate ed inconsulte data la situazione generale della finanza pubblica) potrebbero fare prospettare un graduale aumento dell’investimento pubblico. In tutta Europa – lo si è visto su Formiche.net del 24 febbraio – la spesa in conto capitale è quella che è stata maggiormente compressa dall’inizio del percorso verso la moneta unica iniziato nel 1992.

Il Piano Juncker – abbiamo visto sempre il 24 febbraio – per ora contiene soltanto alcune promesse e numerose illusioni. “In Italia,- ha scritto Paolo Coccia di Bnl-Bnp su Formiche-net del 15 novembre 2014 – i pochi investimenti pubblici si accompagnano ad un non adeguato livello delle infrastrutture. Su 17mila chilometri di rete ferroviaria, solo il 5,4% è ad alta velocità, mentre in Francia si raggiunge il 6,7% e in Spagna il 13,5%. Il ritardo interessa anche il comparto tecnologico: la fibra ottica risulta ancora poco diffusa e la velocità media per lo scarico dei dati raggiunge livelli pari solo a poco più della metà di quelli francesi”.

Gli stessi documenti di finanza pubblica confermano che per gli investimenti delle pubbliche amministrazioni non ci sarà alcun rilancio, almeno in termini di spesa complessiva. C’è, invece, da aspettarsi piuttosto un’ulteriore flessione. È quanto si legge nel Def alla voce del rapporto investimenti fissi lordi/Pil: nel 2013 questo valore si è fermato all’1,7%, peggio di quanto fosse previsto dai governi Monti e Letta (1,8%), mentre la previsione 2014 lo colloca all’1,6%, poi all’1,5% nel 2015 e 2016, all’1,4% nel 2017 e 2018. Colpisce anche la riduzione degli investimenti nel 2013, con una caduta dell’ordine del 10%, da 29.979 a 27.132 milioni di euro e la contrazione del rapporto investimenti /pil di due decimali di punto da 1,9% a 1,7%.

La riduzione prevista dal Def riguarda anche i valori assoluti degli investimenti fissi lordi, che nella gran parte sono lavori infrastrutturali. Anche qui la tendenza è tutta in discesa: dai 25.730 milioni del 2014 ai 24.835 del 2015 ai 24.453 del 2016, per poi accennare a una leggera risalita nel 2017 (24.857) e nel 2018 (25.019). Dal 2011, quando gli investimenti fissi lordi ammontavano a 31.907 milioni, al 2014 si sono persi circa 6,1 miliardi di investimenti annui, circa il 20%

È soprattutto il rapporto investimenti fissi lordi/pil a dare però la portata di come la spesa in conto capitale del settore pubblico arranchi ormai da decenni, con un’accelerazione della caduta nell’ultimo quinquennio. Il rapporto investimenti fissi lordi/Pil era del 3,5% nel 1981, quando la politica di debito pubblico era centrale, per poi scendere al 3,1% nel 1991 e al 2,4% nel 2001. Il project financing viene indicato come strumento di finanziamento dei privati alternativo a quello pubblico, immaginando anche misure di accorpamento delle concessioni e di efficientamento dei lavori da realizzare. Si tratterà di mettere a regime le varie forme di incentivi fiscali esistenti e magari estenderle anche a infrastrutture immateriali come la banda larga.

In questo quadro, non certo incoraggiante, si pone le ultime firme apposte dal Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e dal Presidente Francese François Hollande alla Tav Torino – Lione ed al possibile apporto europeo al finanziamento del progetto, parte di una più vasta ‘rete’ europea di cui si discute (tra polemiche) da circa vent’anni, anche in quanto comporta un tunnel transalpino a due tubi che si sviluppa su una lunghezza di 52 chilometri e prosegue per altri 12 attraverso il tunnel di circonvallazione di Bussoleno. L’avvio di questo snodo potrebbe, almeno simbolicamente, essere un segnale di svolta, piccolo ma, al margine, significativo.

Non è questa la sede per entrare negli aspetti tecnico-economici dell’operazione. Se ne è trattato diffusamente in termini tecnici in in G.Pennisi e P.L. Scandizzo “Valutare l’incertezza: l’analisi costi benefici del XXI secolo“ Giappichelli, Torino, 2003, M. Centra Analisi costi benefici con opzioni reali: un’applicazione al settore dei trasporti ferroviari in Le nuove frontiere dell’analisi costi benefici (a cura di Pennisi G.) in Rassegna Italiana di Valutazione Vol IX (32) pp. 97-116 , 2005, G. Pennisi e P.L. Scandizzo Economic evaluation in the age of uncertainty in Evaluation Vol XII (1) pp. 79-96, 2006.

In termini divulgativi ho risposto alle critiche di alcuni economisti (G. Berta.e B. Manghi, A. Boitani . M. Ponti , A. Tamburino, L. Bobbio Ideologia e prassi delle grandi opere in Il Mulino n. 423 pp. 92-132, 2006) su Il Domenicale del maggio 2006, su Avvenire del 3 marzo 2012, su Il Sussidiario.net del 25 maggio 2013 e nel dibattito aperto da La Voce-info nel maggio 2011.

A questo punto, credo sia importante fare alcuni considerazioni di politica pubblica:

Perché l’investimento abbia gli effetti sperati di breve periodo (attivazione di capacità produttiva non utilizzata) e di medio e lungo termine (aumento della produttività del sistema) sono necessari grandi progetti non interventi puntiformi.

La valutazione economica di grandi progetti (in grado di incidere sulle strutture), richiede, specialmente in un Paese con l’orografia come quella italiana (con montagne e necessità di viadotti e tunnel) una matrice di contabilità sociale. Quella dell’economia italiana è aggiornata dal 1994, perché dal 1996 sono stati drasticamente ridotti i fondi per lavori non richiesti dall’Eurostat.

L’alternativa è la valutazione delle opzioni reali. Lavoro metodologico e sperimentale (nonché di formazione) effettuato negli Anni Novanta nei campi dei trasporti, del turismo e dei beni culturali, dalla Scuola Nazionale di Amministrazione è stato interrotto verso il 2008 e mai più ripreso. Basterebbero, in materia, istruzioni del Ministro Madia, d’intesa con il Ministro Lupi.

In tal modo, si risponderebbe alla polemiche che, dopo la firma Renzi-Hollande, stanno riprendendo. In Val di Susa e non solo.



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