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Telecom, libera banda in libero Stato (con soldi anche pubblici)

“Lasciamo al mercato e agli operatori la scelta della tecnologia più efficiente”. Questa frase del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, condensa l’impostazione politica che è prevalsa ieri in consiglio dei ministri sul piano per la banda ultra larga. Ossia niente decreto, niente switch-off dal rame alla fibra (idea che aveva fatto imbufalire Telecom Italia), libertà di manovra degli operatori sulla tecnologia preferita per centrare gli obiettivi indicati dal governo (ma in verità stabiliti dall’Europa) e 6,5 miliardi di euro circa a disposizione dallo Stato con risorse anche comunitarie per spingere sulla banda larga con incentivi e sgravi. Vediamo i dettagli su quello che ha deciso, e non deciso, ieri il consiglio dei ministri.

GLI INCENTIVI

Il governo, dunque, ci mette oltre ai 6,5 miliardi di euro e tutta una serie di misure: si va dagli incentivi fiscali alle facilitazioni di carattere tecnico-burocratico. “Ad esempio – scrive il Corriere della Sera – verrà approvato un decreto attuativo che prevede un credito di imposta al 50 per cento – legato a Ires e Irap – in favore di quegli operatori di telecomunicazione che investiranno in rete a banda larga tecnologicamente avanzata. Sono poi previsti dei voucher per gli utenti che passeranno da un collegamento in rame alla fibra ottica”. I voucher, comunque, saranno decisi tra qualche anno, prima della scadenza del 2002 del piano.

E GLI ALTRI 6 MILIARDI?

Il piano del governo stima in circa 12 miliardi di euro la spesa necessaria per raggiungere i target europei di connessione entro il 2020. “Quello che manca ai 12 miliardi – ha scritto Andrea Bassi del Messaggero – dovrebbe arrivare dagli investimenti degli operatori. I loro piani, al momento, si fermano a 2 miliardi, ma secondo il governo grazie agli incentivi fiscali e alla garanzia pubblica sugli investimenti la somma dovrebbe lievitare fino a 6 miliardi”.

GLI OBIETTIVI PENCOLANTI

I provvedimenti servono per recuperare il ritardo sull’Agenda digitale e portare entro il 2020 la connessione a 30 mega al 100% della popolazione e 100 mega al 50% degli abitanti. “Nelle prime bozze del piano del governo – si legge sul Messaggero – l’obiettivo fissato per il 2020 era decisamente più ambizioso. Il progetto era di arrivare a coprire con almeno 100 mega di velocità l’85% della popolazione. Dopo la consultazione pubblica del piano, gli obiettivi sono stati ridimensionati, riportandoli a quelli che erano le indicazioni europee”.

C’è poi chi fa notare incongruenze anche all’interno dell’ultima versione del documento: “Nelle slide 4 cluster e 85% a 100Mbps, nel testo 3 cluster e 50%. Cosa fa fede?”, ha scritto su Twitter Massimiliano Trovato analista dell’Istituto Bruno Leoni.

AGENDA EUROPEA

“La “strategia” – nota Luca Pagni su Repubblica – risponde a un obbligo comunitario, perché Bruxelles impone di raggiungere determinati standard sulle connessioni e sulla velocità di trasmissione dei dati necessari per la crescita dell’Eurozona. L’Italia deve darsi da fare più di tutti: ancora nel 2014 il nostro Paese aveva la più bassa copertura di reti digitali di nuova generazione, ben al di sotto della media europea. Ha soltanto un 20 per cento di copertura della rete che viaggia a più di 30 megabite per secondo, contro il 60 per cento della media Ue. Con la previsione di giungere solamente nel 2016 al 60 per cento di copertura a 30 mega”.

ADDIO SWITCH OFF

Le compagnie telefoniche saranno libere di scegliere la tecnologia più adeguata per realizzare la «Ring», acronimo di «rete italiana di nuova generazione». Il piano non pone vincoli. Il governo, da parte sua, punta a portare la fibra ottica fino alla base dei palazzi (Fttb). Nel piano, dunque, non ci sono riferimenti al «switch off», ossia allo spegnimento della rete in rame e al passaggio alla fibra, di cui si parlava nella bozza del decreto sulla banda larga con riferimento al 2030; bozza predisposta dal vicesegretario generale della presidenza del Consiglio, Raffaele Tiscar, che aveva innervosito alquanto il gruppo Telecom Italia presieduto da Giuseppe Recchi: “L’esecutivo ha anche accantonato l’obbligo del servizio universale a 30 mega, ossia l’obbligo di portare Internet ultraveloce a chiunque ne faccia richiesta”, chiosa il Corriere.

LA VERSIONE DI GUTGELD

A tornare sui ritardi del nostro Paese ed assolvere Telecom Italia da alcune colpe che gli vengono attribuite è stato il consigliere del premier Renzi, Yoram Gutgeld, in un lungo articolo pubblicato su Il Foglio: “L’Italia è terz’ultima in Europa per copertura e penetrazione di Banda ultra larga. Il motivo principale di questo preoccupante ritardo non è, come spesso viene detto,  l’alto indebitamento di Telecom Italia, ma viceversa, l’assenza della televisione via cavo presente in quasi tutti i paesi europei”, ha scritto Gutgeld.

“Questa consente di offrire un collegamento ultra veloce e costringe le aziende telefoniche a offrire simili servizi”, investendo “su una rete in fibra che arrivi come il cavo, fino alla casa delle famiglie”, ha spiegato il consigliere di Renzi aggiungendo che “senza la concorrenza del cavo, Telecom non ha un vero motivo economico per fare questi investimenti”.

Per questo, spiega Gutgel, nel piano di investimenti Telecom ha puntato principalmente a portare la fibra nell’armadio situato a poche centinaia di metri dall’edificio con una tecnologia meno costosa ma più veloce dell’adsl  ma con una velocità di connessione inferiore a quella della fibra fino a casa.

Dunque: “Arrivasse domani un ricco investitore con un pacco di miliardi per comprare Telecom Italia e azzerare il debito, non cambierebbe nulla. Per stimolare lo sviluppo della rete in fibra serve ridurre il costo degli investimenti”. Ma servono anche gli incentivi pubblici: “Incentivi che consentiranno agli operatori di fare investimenti che altrimenti non si farebbero”, ha concluso Gutgeld.


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