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Che cosa mi aspetto dalla Buona Scuola di Renzi. Parla don Macrì (Fidae)

La scuola pubblica italiana è composta sia dagli istituti statali sia da quelli paritari. Scuole che, oltre a concorrere al pluralismo dell’offerta educativa, contribuiscono a far risparmiare lo Stato nella spesa per l’istruzione. Per questo motivo, secondo don Francesco Macrì, presidente di Fidae, la federazione che riunisce le scuole cattoliche italiane, è “positivo il fatto che nella Buona Scuola si parli di sgravi fiscali nelle paritarie”. Anche se si tratta soltanto di un “inizio”, precisa Macrì, che va nella direzione di una effettiva “parità scolastica a tutela della libertà di scelta educativa”.

La Buona Scuola vi pare una buona legge?

Prima di esprimere un giudizio completo sulla Buona Scuola, gradirei visionare il testo definitivo del disegno di legge che promette di realizzarla. Certo è che la proposta di defiscalizzare le rette per chi sceglie di mandare un figlio alla scuola paritaria è accettabile come inizio.

Si può fare meglio?

Noi saremmo per un mix di interventi a sostegno della libertà di scelta educativa, che vadano dal finanziamento diretto, come previsto dalla legge 62/2000, alla detassazione o defiscalizzazione delle spese, oppure il bonus sul modello del Buono scuola; purché il finanziamento pubblico alla scuola paritaria, però, avvenga con regole certe e criteri di trasparenza assoluta e senza escludere nessuno, soprattutto le fasce più deboli.

Così che i soldi pubblici non finiscano nelle tasche di chi gestisce diplomifici?

Esatto, ma mi permetta di sfatare un mito: un diplomificio non è soltanto una scuola paritaria che non offre un adeguato progetto educativo, ma anche una scuola statale dove le risorse pubbliche sono male impiegate perché il servizio offerto non è all’altezza delle esigenze degli studenti; e quel che è peggio sostenuto da costi esageratamente elevati rispetto agli standard di mercato. Mi creda, in Italia succede anche questo.

Come si realizza una buona scuola?

Proseguendo sulla strada, scelta dal ministero, della “scuola dell’autonomia”, come l’ha definita la riforma Berlinguer; ovvero istituti, statali e paritari, che mettano al centro la persona, che è il vero titolare del diritto di educazione ed istruzione, nonché la libertà di scelta delle famiglie. Per farlo, però, c’è bisogno di progetti educativi aggiornati e sempre all’altezza delle aspettative degli studenti, ma soprattutto delle risorse che permettano di realizzarli.

L’obiezione più diffusa è che la scuola paritaria debba cercarsi queste risorse da sé, non riceverle dallo Stato. Per chi non può permettersela, invece, ci sono gli istituti statali. È così?

Niente di più sbagliato, perché l’istruzione pubblica, in Italia è quella cui concorrono le scuole paritarie e statali insieme. A meno che qualcuno, anziché credere nella democrazia e nella sussidiarietà dei corpi intermedi, preferisca ancora un modello di scuola fortemente omologato e statalizzato, tipico dei liberalismi autoritari ottocenteschi oppure dei regimi comunisti che sopravvivono ormai soltanto in pochissimi Paesi al mondo.

Tante scuole paritarie, però, sono in crisi; non sarebbe meglio concentrare le poche risorse pubbliche solo sulle statali?

È indubbio che diversi istituti paritari stiano attraversando difficoltà di bilancio, ma la scuola statale da sola non è di per sé garanzia che la domanda di istruzione venga adeguatamente risposta. Anzi, le assicuro che le scuole paritarie fanno risparmiare la collettività. Se dall’oggi al domani chiudessero tutte, il costo complessivo dell’istruzione per lo Stato aumenterebbe ancor più, fino a divenire insostenibile.

I costi standard potrebbero aiutare in qualche modo?

Certamente, perché potrebbero spingere le scuole verso una maggiore efficienza nel calibrare costi e benefici del servizio offerto. Se poi ogni singolo istituto venisse anche valutato rispetto agli standard qualitativi raggiunti, credo che ci sarebbero i presupposti perché il finanziamento pubblico vada veramente a beneficio del singolo studente, premiando gli istituti più virtuosi e spingendo l’intero sistema a migliorarsi da sé.

Nessun trattamento di favore per i figli dei più ricchi, dunque?

Nient’affatto. Perché se c’è una cosa che le scuole paritarie non richiedono e nel modo più categorico è quello di ricevere privilegi. Non li vogliamo; chiediamo soltanto soluzioni eque che non escludano in alcun modo le classi meno abbienti. Le paritarie cattoliche, che io rappresento, per esempio, sono nate proprio per estendere la possibilità di frequentare una buona scuola anche a chi, altrimenti, non se lo sarebbe potuto mai permettere. Speriamo che possa continuare ad essere così. E che il pluralismo culturale possa trovare cittadinanza in questo Paese.


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