Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo l’analisi di Paolo Savona uscita sui quotidiani Italia Oggi e Mf/Milano Finanza diretti da Pierluigi Magnaschi
Carissimi Juncker e Draghi,
ancora una volta vi siete fatti sfuggire l’occasione per condurre un ragionevole policy mix orientato alla crescita, agganciando la creazione monetaria agli investimenti del Feis (il Fondo europeo investimenti strategici).
Il 9 marzo ha preso avvio quella che è stata impropriamente denominata la politica di Quantitative Easing, termine usato dalla Federal Reserve americana per i suoi interventi; impropria perché la Fed ha perseguito una politica direttamente orientata all’aumento dell’occupazione, che ha avuto successo anche perché non ha posto condizioni agli interventi da fare. Al contrario l’eurosistema ha invece confermato che la sua politica è sempre orientata all’andamento dei prezzi per riportarne l’aumento a livelli prossimi al 2%, ma ha posto vincoli all’attuazione.
Che una banca centrale si prefigga di creare inflazione è già di per se un’anomalia, non foss’altro perché significa che la sua politica è stata finora tale da causare deflazione. Le differenze non si fermano però ai soli obiettivi, ma anche ai modi in cui essi sono stati perseguiti. La Fed ha esercitato una diretta influenza sia sulla politica fiscale dell’Amministrazione Obama, acquistando titoli pubblici anche all’emissione, sia sull’attività produttiva americana, acquistando titoli privati, tra i quali i mortgage baked security, l’equivalente delle nostre cartelle fondiarie, allo scopo di rilanciare l’attività edilizia. La BCE ha invece escluso questa possibilità per evitare a suo dire bolle speculative nel settore, peraltro assai improbabili dato l’andamento fiacco di tutti i prezzi, compresi quelli delle abitazioni; ha quindi accettato che uno dei due motori dello sviluppo (l’altro sono le esportazioni) rimanesse a basso regime, in Italia addirittura in grave depressione con gravi conseguenze sulle sofferenze creditizie delle banche.
Così facendo la BCE ha contribuito all’accentuarsi della crisi produttiva e deflazionistica. Come se queste prevenzioni agli interventi settoriali non bastassero, la BCE ha sottoposto ad altri vincoli le sue scelte, chiedendo una garanzia dell’80% alle banche centrali dei paesi beneficiari e rompendo l’unità mutualistica dell’eurosistema; nonché affermando di voler sottoporre gli interventi alla realizzazione delle riforme a livello nazionale. La scienza economica insegna che con uno strumento si può raggiungere un solo obiettivo, e se pretendi troppo è destinato all’insuccesso.
Invece di creare un mix favorevole di politiche attraverso il finanziamento del Piano Juncker, la politica monetaria è stata ancorata alla politica fiscale europea deflazionistica, mostrando di apprezzarla come unica via per la ripresa, non si sa su quali basi teoriche, date le obiezioni del fior fiore degli economisti, e riscontri pratici, data l’evidenza statistica contraria. Dopo il suo discorso a Davos ci eravamo illusi, caro Draghi, che lei avesse capito di dover affrontare una severa crisi da domanda, ben più grave nel breve periodo di quella dell’offerta che ha posto come una palla al piede della politica del QE, annullandone l’efficacia. Oltre all’esperienza americana, ci sono seri motivi teorici e pratici per respingere la sua ripetuta affermazione che, in generale, la politica monetaria non incide poco sulla ripresa, ignorando che sono i modi in cui viene attuata che la rendono tale. Sul Piano europeo di investimenti non ci eravamo invece fatte troppe illusioni; ma non comprendiamo, caro Juncker, come mai non abbia colto l’occasione per agganciare la sua realizzazione al QE. Evidentemente lei stesso non ci crede ed è un dramma per l’UE.
Sappiamo bene quali siano le difficoltà entro cui le politiche fiscali e monetarie si devono muovere tra le costrizioni poste dall’architettura istituzionale europea, ma se siete stati capaci di barcamenarvi tra esse, come avete dimostrato, vuol dire che gli spazi si possono trovare. Il mancato aggancio tuttavia tra le vostre rispettive politiche induce a ritenere che ancora non vi sia chiaro lo scenario economico, e aggiungerei politico, che dovete affrontare. Non illudetevi per la benevolenza mostrata dalla cronaca nei vostri confronti, perché eccitata dai successi sugli spread, sui valori di borsa e sui decimi di centesimi di crescita reale in più, perché il giudizio della storia sarà per voi molto severo.
I tre anni di crescita prevista restano ancora al di sotto di quella necessaria affinché l’occupazione riprenda (in letteratura si chiama “coefficiente di Okun”); se questa situazione non verrà corretta potete continuare a sbraitare sulle carenze dell’offerta per le riforme non fatte o per quelle insufficienti, continuando però a ignorare la grave carenza di domanda aggregata, consegnerete l’Europa a una sinistra velleitaria, anche se franca nel denunciare le condizioni in cui è costretta a vivere parte della popolazione europea a cominciare dalla Grecia, o a una destra nazionalistica, che aspira alla fine dell’”Europa dai piedi di argilla”, senza saperci indicare dove intendono portare i rispettivi paesi per dare loro un futuro diverso da quello che il
fallimento dell’attuale Europa comporta.
Proprio perché avete mostrato abilità nell’assolvere ai reciprochi impegni e aver la responsabilità delle due uniche istituzioni influenti, vi verrà addebitata la colpa di aver propiziato la fine del sogno di un’unione politica europea.
Buon lavoro.