Vladimir Putin ha tenuto il mondo con il fiato sospeso, non perché era “pronto a usare l’atomica in Crimea”, come egli stesso ha rivelato con nonchalance, ma perché non si sapeva dove fosse: al capezzale della bella ginnasta che gli ha fato il terzo figlio, in ospedale per un infarto o magari per un lifting?
I giornalisti investigativi hanno investigato a lungo, ma senza successo finché, tra il sollievo universale, ecco riapparire zar Vladimir, sorridente e ironico accanto al presidente kirghizo Atambayev. La stampa internazionale ha dato subito la notizia con grande evidenza. Meno spazio, invece ha avuto l’informazione ufficiale che la flotta russa ha cominciato grandi manovre nei mari artici, una decisione presa all’improvviso, anche se fa parte anch’essa di una strategia annunciata.
Il 15 gennaio l’agenzia Ria Novosti, citando fonti delle forze armate, ha scritto che “la Russia nel 2015 ha in programma di rafforzare la sua presenza militare in Crimea, nel mar Glaciale Artico e nella regione di Kaliningrad (divisione amministrativa della Russia europea tra la Lituania e la Polonia). Il nuovo piano, firmato dal presidente Vladimir Putin, individua in particolare nel mar Artico – una zona ricca di idrocarburi, uranio e altre materie prime – la regione dove la Russia deve ‘proteggere i suoi interessi’. La nuova dottrina indica come un pericolo anche l’espansione della Nato”.
Il bullismo atomico, il gossip e il passaggio a nord ovest per il controllo del polo diviso tra Norvegia, Danimarca, Canada, Stati Uniti, sembrano tre fatti apparentemente diversi e contraddittori; invece, sono strettamente collegati, perché fanno tutti parte dello stesso stesso scenario che viene ormai chiamato guerra ibrida.
A differenza di quella novecentesca e del conflitto asimmetrico contro il fondamentalismo islamico, la guerra putiniana è condotta con mezzi ancor più diversi e sofisticati. C’è la minaccia, ovviamente, e c’è la propaganda, c’è l’immagine del capo con la sua corte rosa e nera, c’è la disinformatia pura e semplice che oggi si chiama narrazione, cioè raccontare una mezza verità più insidiosa della palese bugia. Ma ci sono anche i mezzi militari, diretti come nelle campagne del Caucaso, indiretti o mascherati come in Ucraina. Mordi e fuggi, una conquista e poi una tregua, un passo avanti e due indietro (come scriveva Lenin) per preparare meglio la nova offensiva. Così si è mosso quanto meno dalla campagna di Georgia nel 2008. Che di guerra si tratti c’è poco da dubitare, basti vedere come è stata alzata la tensione da dieci anni a questa parte. Un periodo in cui Putin ha preso il pieno controllo dello Stato e dei mezzi di produzione (a cominciare dal più strategico, il gas). E che è servito per riorganizzare un esercito spompato e disorganizzato dopo l’implosione dell’Unione sovietica. Secondo la Nato, adesso il livello si è notevolmente innalzato, anche sul piano tecnologico. I russi sono in grado di organizzare efficaci attacchi cibernetici, di usare robot e apparecchiature elettroniche sofisticate (come in Ucraina), di far funzionare supercomputer e mega centri d’ascolto.
Il conflitto ibrido ha obiettivi precisi che Putin ha dichiarato ufficialmente e ha spiegato anche a Barack Obama nel 2009 quando lo ha invitato nella sua dacia: creare un cuscinetto di Stati satelliti attorno ai confini europei e asiatici; difendere i russi ovunque essi si trovino; assicurarsi lo sbocco sul Mar Nero con il controllo della Novorossija (la regione che circonda la Crimea e comprende l’Ucraina orientale); ricostruire una potenza pari a Stati Uniti e Cina. Il progetto ha anche una verniciatura ideologica che lo fa uscire dall’ambito del puro nazionalismo slavo, perché questa nuova Russia si presenta come erede della Terza Roma, baluardo del cristianesimo contro la barbarie musulmana.
Tutto ciò è chiaro da tempo, detto e ridetto, ma nessuno in Occidente gli ha dato peso, per incapacità di capire oppure perché era più comodo tapparsi occhi, bocca e orecchie. Delle tre scimmiette, la peggiore è quella europea che i russi hanno gasato a tutti i livelli. La Germania e l’Italia sono i Paesi più esposti alle mire putiniane. Ora la Merkel cerca di divincolarsi, ma gli interessi forti la bloccano. Renzi, invece, pensa di poter giocare un ruolo di mediatore attivo verso il resto della Ue, ottenendo in cambio il sostegno di Putin nella guerra civile libica. Un gioco ad alto rischio, che finisce per isolare Roma e fare un favore solo a Mosca.
Guai a prendere la recita del presidente russo per una sceneggiata a lieto fine. Putin si maschera, ma non scherza affatto. Il giudizio sul suo lungo periodo al potere è complesso e contraddittorio. Toccherà agli storici mettere in luce tutte le sfumature. I politici invece sono chiamati a scegliere qui ed ora. E non c’è dubbio che in questo momento la Novarossija rappresenti una minaccia in Europa e in Occidente. Renzi e la diplomazia italiana non lo credono.
La discussione è aperta, ma solo un inguaribile ingenuo può comprare una macchina usata da uno come Putin.