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Caro Gramellini

Caro Gramellini,

mi chiamo Alfredo Ferrante, ho 47 anni e sono un dirigente pubblico. Mi occupo da anni di disabilità e non autosufficienza e mi hanno affidato un ufficio dopo che, al secondo tentativo, ho vinto un concorso presso l’attuale Scuola Nazionale di Amministrazione. La mia lettera prende origine dalla lettura del suo pezzoFunzionari oscuri e politici imbelli” (La Stampa del 17 marzo) che – mettiamola così – mi ha fatto “Incalzare”.

Del caso dell’ormai celebre ex “Direttore Generale” del Ministero delle Infrastrutture (in realtà un consulente esterno nominato dalla politica e non un dirigente di ruolo), instancabile pensionato, e delle vicende del Ministro Lupi (entrambi innocenti sino a prova contraria), si occuperanno, naturalmente, le competenti autorità. E se sono d’accordo che la vicenda mette in ogni caso in luce le dinamiche malate di un sistema che troppo spesso ha visto andare a braccetto certa politica e certa burocrazia, trovo davvero poco utile parlare, come lei fa nel suo articolo, di “casta segreta di dirigenti pubblici che le statistiche internazionali considerano la meno efficiente e la più pagata del mondo” i quali “si rifiutano scaltramente di andare in televisione” perché “l’assenza di volto è per loro garanzia di impunità e di durata”.

E le spiego perché.

In primo luogo, repetita iuvant, Incalza non è un dirigente pubblico. E’ ed è stato un consulente esterno.

Ma andiamo avanti. Non faccio parte di caste, men che mai segrete. E come me i tantissimi miei colleghi che servono lo Stato. Non amo i grembiulini ed il mio nome, il mio cv ed il mio stipendio sono pubblici sul sito del Ministero del Lavoro. Dico apertamente la mia in rete, sul mio blog, nonché sulle testate che hanno la cortesia di ospitarmi. Le famose statistiche internazionali, poi (immagino lei si riferisca al lavoro dell’OCSE del 2013), sono state più volte smontate per quel che riguarda cifre faraoniche che ancora vengono riproposte sui giornali e in televisione. Tecnicismi a parte, credo basti ricordare che un dirigente pubblico di seconda fascia prende, in media, 3000 e rotti euro mensili, come il sottoscritto. Cifra di tutto rispetto, ma immagino insufficiente a definirmi come uno dei più pagati al mondo. E ancora: i meno efficienti? Su quali basi? Con quali criteri? Efficienza dei servizi? Delle politiche? Della gestione di bilancio? O dobbiamo parlare di economicità? O, ancora di efficacia?

Lei ci accusa, poi, di rifiutarci scaltramente – dei bei volpini, direbbe qualcuno – di andare in televisione, perché così, lontano dai riflettori, possiamo tramare nelle segrete stanze. E durare. Ora, premesso che le televisioni raramente chiamano i burocrati davanti le telecamere, quando sono stato chiamato, ci sono sempre andato, pure conscio di prendermi schiaffoni. E così altri colleghi che sono scesi in vere e proprie arene. Ci sono andato perché ho l’orgoglio del lavoro che faccio e la convinzione che abbiamo il dovere di dire la nostra, di spiegare e di argomentare. Meglio se con chi ci incolpa di tutti i mali del Paese. La faccia ce la mettiamo, caro Gramellini.

E chiudo col mantra della durata e della inamovibilità. Non solo la durata massima del singolo incarico per un dirigente è cinque anni, ma quello che forse non si sa è che molto spesso i dirigenti sono inchiavardati alle poltrone perché non funzionano i meccanismi per spostarsi e cambiare incarico. I ruoli delle singole amministrazioni, che il Governo si propone di cambiare, sono come alte palizzate impossibili da scavalcare. Viceversa, ha poco senso parlare di burocrati che non possono essere spostati dalla politica: è la politica che fissa gli obiettivi ed è la politica che può valutare negativamente i dirigenti apicali che, a loro volta, possono valutare negativamente la dirigenza. Alla fine del contratto si facciano i conti.

Veda, Gramellini, credo che il quadro che lei dipinge, giustamente indignato come cittadino e contribuente, sia un poco più articolato. I dirigenti pubblici hanno mille colpe. Esattamente come i politici e gli imprenditori. E come i giornalisti. L’andamento di un Paese dipende dal comportamento di tutti. Tutti. Ma l’abitudine di generalizzare partendo da casi singoli, certamente condannabili, è ormai insopportabile e contribuisce a ridurre l’Italia a guazzabuglio di clan contrapposti. Altro che Guelfi e Ghibellini.

Allora, caro Gramellini, venga a trovarmi nel mio ufficio, a Roma. Sarei lieto di continuare questa chiacchierata. Entri in un Ministero, la proteggo io. Parli con chi ha vinto un concorso. Veda e giudichi con i suoi occhi. Chissà che possa cambiare idea. Magari in peggio, ma guardandoci in faccia.

Cordialmente,
Alfredo Ferrante


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