L’Italia ha deciso di contribuire al nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (meglio conosciuto come piano Juncker) con 8 miliardi di euro messi a disposizione dalla Cassa Depositi e Prestiti. Inizialmente l’esecutivo italiano aveva assunto una reazione tiepida di fronte al piano: infatti il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan aveva dichiarato: “Le aspettative dei cittadini sono crescenti ma è crescente anche il rischio di una delusione“. Ma alla fine è arrivato il finanziamento, non al Fondo ma direttamente ai progetti, perché al momento si parla di 8 miliardi di prestiti nel triennio direttamente ai progetti.
Ma a che punto è il piano Juncker e quali insidie nasconde? Innanzitutto il regolamento proposto dalla Commissione europea è ora al vaglio dell’Europarlamento, che sta cambiando il testo con una serie di emendamenti. Il testo, una volta votato in seduta plenaria (i relatori all’Europarlamento sono due: lo spagnolo PPE Fernandes e il tedesco S&D Bullmann), passerà al Consiglio dei Ministri della UE e non sarà definitivo fino a quando non ci sarà accordo tra le 2 Istituzioni comunitarie. Insomma un percorso di approvazione non tanto breve come inizialmente annunciato da Juncker, visto che oltre alla lunghezza procedurale, permangono 4 nodi centrali da sciogliere:
– In base a quali criteri verranno selezionati i progetti?
– Chi farà parte del Board che sceglierà i progetti?
– Quali voci del bilancio UE verranno tagliate a beneficio del piano, considerando che non verrano stanziate risorse supplementari?
– Come facilitare l’accesso degli Stati Membri ai finanziamenti?
Queste domande non hanno ancora trovato risposte. Per quanto riguarda i criteri di selezione dei progetti, i protagonisti della negoziazione si stanno orientando per una scelta dei progetti fatta in base a criteri qualitativi piuttosto che geografici (quindi non ci sarà una ripartizione dei fondi a livello di Stati) e verranno finanziati i progetti migliori.
Ma migliori per chi? E qui arriviamo al secondo punto cruciale e cioè alla composizione del board (precisamente, Steering Board) che sarà costituito da 4 membri e dovrà selezionare i progetti. I 4 membri dovranno essere “indipendenti“ nelle loro valutazioni, ma riusciranno a essere super partes o “tireranno l’acqua al mulino“ degli Stati di appartenenza?
Inoltre gli stessi interrogativi si pongono per il cosiddetto Investment Committee (responsabile per l’approvazione dei progetti elegibili), che sarà composto da 8 membri, anche in questo caso “esperti indipendenti“.
Ma arriviamo al punto centrale: il finanziamento del piano. Da un lato la Commissione europea vorrebbe racimolare i soldi tagliando il Programma Horizon 2020 e il Programma Connecting Europe (come scritto in precedenza da Formiche.net). Dall’altro il Parlamento europeo, contrario al taglio dei 2 Programmi, vorrebbe stanziare le risorse anno per anno, senza prevedere già adesso nel regolamento la fonte del finanziamento, ma preferirebbe valutare anno per anno secondo le disponibilità.
A tutto questo si aggiunge il problema “burocrazia“, perché il rischio che si corre è che gli Stati meno burocratizzati avrebbero un accesso più veloce ai fondi; al contrario i Paesi imbrigliati nelle lungaggini amministrative (come l’Italia) sarebbero svantaggiati nell’accesso ai finanziamenti.
Quello che doveva essere un piano ad effetto immediato contro la crisi (secondo gli annunci fatti a novembre da Juncker) si sta rivelando un percorso tutto in salita. Per ora i negoziati proseguono ed è difficile prevedere quale sarà il testo definitivo, considerando che sarà il frutto del compromesso tra le varie Istituzioni coinvolte nelle trattative.