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Così Putin semina zizzania (anche) nei Balcani

L’articolo è tratto da Nota Diplomatica

Il Kosovo (c’è ancora…) è uno dei rimasugli dell’ex Jugoslavia. Grande come l’Abruzzo, è forse uno stato indipendente. Ha infatti dichiarato la propria indipendenza nel 2008, e molti Paesi – anche l’Italia – lo hanno riconosciuto come tale. Cina, Russia e qualcun altro, no.

Ma chi ha detto veramente di “no” era la Serbia, di cui il Kosovo era una provincia ribelle. Oggi è un protettorato dell’Unione Europea che fonde infelicemente due popolazioni che si detestano da secoli: i serbi e gli albanesi. E’ una bomba che attende solo di riesplodere.
Ora i russi, a cui la violenza ucraina pare non basti, hanno cominciato a dire che vedrebbero
bene la restituzione alla Serbia di un bel pezzo del Kosovo. I serbi hanno colto la palla al volo, dicendo ufficialmente che “la partizione sarebbe una buona soluzione”.

Putin, in visita a Belgrado a fine 2014, ha dichiarato che “la Russia vede sempre la Serbia come la sua più stretta collaboratrice”. Il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha intanto diffidato la Nato dall’allargarsi nei Balcani, dicendo che: “…sarebbe visto dalla Russia come una provocazione e minerebbe pertanto la sicurezza e la stabilità dell’Europa”. “Dell’Europa”, ha
detto… non “dei Balcani”.

L’unico commento finora uscito dall’Ue è che si aspetta ancora la piena implementazione degli accordi di Bruxelles tra kosovari e serbi, e quindi la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. E’ difficile pensare che i russi si siano messi a tremare.

Seminare guai nei Balcani costa poco o niente. E’ nota la disponibilità degli abitanti ad ammazzarsi anche “a gratis”, come si dice alla Farnesina. Visto da Mosca, il ritorno del caos nel Kosovo sarebbe un’ulteriore (ed economica) dimostrazione che il “peso specifico” dell’Unione non arrivi oltre Trieste.



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