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Tutte le crepe dell’Isis che l’Occidente deve sfruttare

Quando i jihadisti dello Stato Islamico (Isis) hanno conquistato Mosul e messo in fuga l’esercito iracheno lo scorso giugno è apparso evidente che ci si trovava di fronte alla più pericolosa organizzazione terroristica esistente. Le forze dell’Isis sono rapidamente avanzate oltre la Siria e l’Irak nord-occidentale dirigendosi verso sud e minacciando Baghdad. Lungo il cammino hanno brutalmente ucciso prigionieri e schiavizzato donne. La loro violenza non ha fermato gli entusiasmi dei fanatici: dalla Nigeria alla Libia all’Afghanistan diversi gruppi si sono alleati all’Isis, mentre nuovi adepti venivano reclutati anche in Occidente.

L’Isis differisce da altri gruppi jihadististi del passato, compreso al-Qaeda, sia per l’estrema ferocia che per l’abilità con cui esercita la sua propaganda, anche su Internet. Inoltre, obiettivo dell’Isis è ripristinare il califfato islamico, ovvero unire tutti i musulmani in uno stesso Stato. Ma, per quanto ancora pericoloso, lo Stato Islamico comincia a mostrare le sue falle e a perdere terreno, denaro e consensi.

LE SCONFITTE DI KOBANE E TIKRIT

Tanto per cominciare, il califfato ha perso la città siriana di Kobane (con l’aiuto di americani e curdi) e in Irak è dovuto uscire da Tikrit grazie all’intervento dell’esercito Iracheno e delle milizie sciite coordinate dall’Iran. Rispetto al momento di maggiore espansione, quando l’Isis era arrivato alle porte di Baghdad, il suo territorio si è ristretto di circa il 25%.

Per l’Isis, perdere Tikrit dopo Kobane significa incassare una sconfitta pesante. “A Kobane – ha spiegato il generale Carlo Jean – lo Stato islamico ha perso circa 1.400 uomini. E a queste perdite vanno aggiunte le defezioni di molti combattenti stranieri, sempre più inclini alla diserzione”. In una parola, “l’Isis sta perdendo la sua aura di invincibilità, l’ingrediente che – assieme ai soldi – ha finora attirato moltissimi combattenti”.

I FONDI SI RIDUCONO

Anche i fondi dell’Isis si stanno riducendo. L’America e i suoi alleati hanno bombardato molti dei pozzi petroliferi che rappresentavano per il califfato un’importante fonte di guadagno. Gli ostaggi sono stati venduti o uccisi. E con la ritirata da molti territori, il bottino si prosciuga: alcuni analisti pensano che l’Isis abbia già perso fino al 75% delle sue entrate. Questo rende più difficile per il gruppo combattere e fornire servizi ai circa 8 milioni di persone che vivono sotto il suo comando.

“L’espansione dello Stato Islamico finora è stata basata soprattutto su estorsione e furto. Usando le entrate dei pozzi petroliferi conquistati nell’est della Siria, insieme ai bottini di Mosul e ai soldi dei riscatti per gli ostaggi, lo Stato Islamico è riuscito ad assoldare combattenti molto velocemente”, ha spiegato un editoriale della Reuters ripreso da diversi siti americani.

Ma i guadagni dei pozzi petroliferi sono diminuiti (sia per i bombardamenti americani che per il calo dei prezzi globali del petrolio) e con la tragica morte della cooperante americana Kayla Mueller a febbraio, lo Stato Islamico ha ucciso quello che si calcola sia uno dei suoi ultimi ostaggi, e quindi rimarrà a corto di altri fondi. La strategia seguita finora per sostenere l’espansione del califfato non regge più mentre i massacri e le brutalità rendono più complicato conquistare adepti e sostenitori.

L’INSOSTENIBILE ECONOMIA DEL SACCHEGGIO

L’economia dell’Isis è interamente basata sul terrore e come tale vulnerabile e insostenibile, ha scritto in un commento Cnbc, secondo cui l’Isis avrebbe già ridotto i salari dei suoi combattenti e anche i sussidi in combustibile e alimenti alle popolazioni assoggettate. “Credo che l’Isis si troverà di fronte gravi problemi quest’anno”, afferma Eckart Woertz, senior researcher del Barcelona centre for international affairs (Cidob) esperto di Medio Oriente. “La sua economia è basata sul saccheggio, ma se l’espansione territoriale si ferma questa risorsa viene meno. E non si può continuare a depredare i territori già saccheggiati”. “L’ambizione dell’Isis è essere non un gruppo terroristico ma uno Stato. Per finanziare il suo ‘governo’ e la sua organizzazione ha bisogno di costanti e cospicue risorse e questo rappresenta una sua debolezza”, continua Woertz. Già pagare i combattenti è un salasso: 20.000-30.000 soldati costano 10 milioni di dollari al mese. Tagliare all’Isis le sue fonti di entrata appare come la più grande opportuntà per sconfiggerlo.

LE DEFEZIONI

Lo Stato Islamico fa fatica anche a mantenere la sua unità e la disciplina: si diffondono corruzione, differenze ideologiche e defezioni, ha scritto il Wall Street Journal. Le crepe dell’Isis sono emerse nelle interviste rilasciate da quattro ex combattenti che hanno disertato e da civili che vivono in aree controllate dal gruppo in Siria e Irak. Il califfato non riesce facilmente a tenere insieme soldati di estrazione diversa e quindi con motivazioni, livelli di esperienza e ideologie divergenti. Molte delle tensioni sono legate al fatto che gli stranieri reclutati dall’Isis ottengono stipendi (più altri benefici) maggiori delle reclute locali: il salario mensile dei combattenti stranieri sarebbe di 800 dollari, quello dei siriani di 400.

Molti considerano anche “non-Islamica” la brutalità estrema usata verso ostaggi e civili. Quando l’Isis ha catturato il pilota giordano Muath al-Kasasbeh a dicembre, per esempio, sono sorti disaccordi sulla sua esecuzione: alcuni membri del consiglio della Shura volevano che fosse scambiato con altri prigioneri o rilasciato dietro riscatto, non bruciato vivo. La sua uccisione ha provocato diverse defezioni, e le defezioni sono il primo nemico dell’Isis, nota uno degli ex combattenti.

Sono arrivate anche le prime esecuzioni di seguaci, magari perché sono fuggiti di fronte al nemico, o addirittura, in un caso riportato dall’Economist, per un eccesso di zelo nelle decapitazioni. Le popolazioni soggette parlano di estorsioni, repressioni violente, servizi pubblici sempre più carenti. “Proprio perché l’Isis sostiene di gestire lo Stato islamico modello, il suo manifesto fallimento espone tutte le debolezze della sua ideologia e la scarsa credibilità delle sue promesse di fronte alle nuove potenziali reclute”, scrive l’Economist. “Se, come dicono alcuni, il segreto del successo dell’Isis è il suo stesso successo, il suo fallimento potrebbe portarlo all’implosione”.

L’ISIS PUO’ AUTO-DISTRUGGERSI?

La tesi è la stessa dell’amministrazione Obama, convinta che lo Stato Islamico sia così distruttivo da finire con lo sconfiggersi da solo. L’intelligence Usa non la vede esattamente così. In un incontro con i giornalisti tenutosi l’anno scorso, cinque funzionari dei servizi segreti Usa descrivevano l’organizzazione terroristica islamica come “paziente, ben organizzata, opportunistica, flessibile”. “Noi non crediamo che possa collassare da sola”, hanno detto, pur ammettendo che “con pressioni e alternative” (per esempio l’erosione del supporto dei sunniti) “potrebbe nel tempo auto-distruggersi”. I consueti strumenti anti-terrorismo come gli attacchi aerei e con i droni non sono sufficienti per sconfiggere l’Isis, tuttavia l’intelligence Usa notava già allora una “vulnerabilità” dello Stato Islamico: la sua enorme estensione, che lo costringe a combattere su molteplici fronti.

IL NODO IRRISOLTO DELLA SIRIA

Per il momento le crepe del califfato non significano che la minaccia sia scomparsa. C’è ancora la campagna militare in Irak, per strappare dalle mani dell’Isis Mosul, città più grande e importante di Tikrit. La situazione è complicata dal fatto che a difenderla ci sono anche le milizie sciite iraniane, e il timore dell’Irak è di cadere dalle grinfie dell’Isis in quelle dello storico nemico.

Ancora più intricata è la questione della Siria: anche se Mosul viene persa dall’Isis, l’Isis continuerà a esistere finché troverà un rifugio sicuro in Siria. Qui non ci sono ancora forze capaci di contrastare l’organizzazione terrorista: non il regime di Damasco, che vuole dimostrare che l’unica alternativa all’Isis è Bashar Assad; non i curdi, che di solito combattono solo nelle loro enclavi; non le forze di Jabhat al-Nusra, ancora legate ad al-Qaeda; e non i ribelli sostenuti e addestrati dall’America, che sono troppo pochi per avere un peso.

Il contenimento dell’Isis a Mosul è importante, ma non definitivo. La pacificazione (ben lontana) della Siria sarebbe fondamentale per abbattere il califfato. Fino a quel momento si dovrà lavorare sul suo ridimensionamento, facendo leva sulle vulnerabilità sempre più evidenti e evitando che l’Isis, con quella flessibilità che l’intelligence Usa gli ha subito riconosciuto, abbia tempo di riorganizzare le sue strategie rimediando alle sue falle.


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