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Felipe Gonzalez, grazie!

Non mi è mai piaciuto Felipe Gonzalez. Ho sempre avuto la sensazione che l’ex presidente spagnolo, al potere dal 1982 al 1996 con il Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe), abbia strumentalizzato la retorica socialista da una posizione privilegiata. Come lui stesso ha ammesso in una conferenza sulla democrazia in Spagna a maggio del 2014, fa parte di una “casta”.

Durante i suoi mandati, i casi di corruzione che lo hanno visto coinvolto, direttamente e indirettamente, non sono stati pochi. Ad accelerare la fine dell’egemonia del Psoe al governo, è stata la vicenda del “terrorismo di Stato” con l’implicazione di alcuni membri del suo esecutivo. Gonzalez ha trasformato i sistemi sanitario ed educativo spagnolo, ma facendo molto male i conti. A pagare sono stati gli spagnoli, a causa della creazione di un enorme debito e una conseguente crisi economica.

Ripeto: non mi è mai piaciuto Felipe Gonzalez, così come non ho mai amato le ingerenze da parte di leader stranieri nella politica interna di altri Paesi. Come si può dare giudizi su questioni particolari che riguardano un territorio, quando non si respira quella aria tutti i giorni? Bisogna conoscere bene la popolazione e vivere la quotidianità di un luogo, prima di poterne parlare.

Per questo ho sempre diffidato di chi commentava a distanza, bene o male, la politica dell’ex presidente venezuelano Hugo Chavez (qui la lista di alcuni suoi sostenitori italiani). È troppo comodo sostenere un regime pseudo-socialista vivendo a Roma, Londra o Berlino. Senza fare la fila per l’acquisto di beni di prima necessità, come succede oggi a Caracas, o senza subire la censura del proprio pensiero. È troppo comodo anche fare l’oppositore dall’estero, criticando in piena libertà, e smettendo di fare i “rivoluzionari” quando ciò diventa troppo pesante da sostenere.

Sempre per questi motivi – da venezuelana – non ho mai gradito l’accostamento dei leader della Mesa democratica, una delle tante coalizioni d’opposizione in Venezuela, a personaggi come Felipe Gonzalez. Quelle gite a Madrid, con bandiere tricolore e selfie sorridenti, mi sembrano altri momenti di retorica.

Oggi però devo fare autocritica e rivedere le mie considerazioni. La crisi in Venezuela ha delle conseguenze che oltrepassano le pareti domestiche e minacciano i diritti universali dell’uomo. Lo ha riconosciuto il presidente Barack Obama, imponendo sanzioni contro alcuni rappresentanti del governo di Nicolas Maduro.

Lo scorso fine settimana, a Caracas, la criminalità ha ucciso 271 persone. Chi resta in vita non ha modo di procurarsi latte, pane, carta igienica o deodorante. L’inflazione è superiore al 68%, per cui un chilo di pomodori costa circa 30 euro. Non c’è libertà di manifestazione, perché il parlamento ha approvato l’uso di armi da guerra per mantenere l’ordine pubblico e la libera stampa di fatto non esiste più, perché lo Stato ha acquistato tutti media, licenziando i giornalisti “scomodi”.

In un momento così delicato, Felipe Gonzalez non si è limitato a posare nelle fotografie o firmare editoriali di denuncia, ma ha preso in carico la difesa di due leader dell’opposizione arrestati dal regime venezuelano: l’ex deputato e sindaco Leopoldo Lopez e il primo cittadino di Caracas, Antonio Ledezma.

Laureato in Legge all’università di Siviglia nel 1965, Felipe Gonzalez ha deciso di riprendere in mano il codice penale per difendere questi prigionieri politici davanti ai tribunali venezuelani e alla Corte Interamericana. Non sarà da solo, avrà accanto un gruppo di avvocati difensori, ma la sua consulenza politica sarà determinante nella strategia di difesa. Mentre il mondo sembra ignorare quanto accade in Venezuela in tema di diritti umani (incluso chi ha sostenuto negli anni dall’Europa il regime chavista), l’impegno pragmatico di Felipe González si può soltanto ringraziare.


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