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Bcc Terra d’Otranto, vince la Banca d’Italia

Un altro credito cooperativo destinato a soccombere sotto la mannaia dell’Autorithy indipendente?

Lo dirà il tempo, neanche tanto, unito agli esiti di una battaglia a suon di carte bollate, oltre che di inchieste giudiziarie.

Il futuro della Banca di Credito Cooperativo di Terra d’Otranto, nel Salento, viaggia sul doppio binario delle indagini della magistratura leccese e degli esiti del commissariamento disposto dal ministero dell’Economia, sulla scorta di attività ispettiva prima e gestione provvisoria poi, da parte di Bankitalia.

Una vicenda complessa, con molti attori in scena.

Da ultimo, con riferimento agli sviluppi più recenti, l’ex vicepresidente del cda, Raffaele Potì, alla guida dell’autorità di gestione per tutto il periodo in cui è stata espletata attività ispettiva che, in un ricorso contro ministero e Banca d’Italia, presentato un mese fa al Tar del Lazio, aveva provato a ribaltare le contestazioni mosse dagli ispettori e snocciolate nel report firmato da Ignazio Visco.

Davide ha perso la sua battaglia contro Golia, e si passa al prossimo round.

Alle 63 pagine di ricorso infatti, il tribunale amministrativo regionale ha risposto in queste ore, con un’ordinanza che respinge l’istanza cautelare. E sono bastate tre pagine, chiare e nette.

Un passo indietro è necessario, per ricostruire i fatti.

La Bcc di Terra d’Otranto, 6 sportelli in provincia di Lecce (capoluogo, Carmiano, Monteroni, Borgagne, Meledugno) e un attivo di circa 300milioni di euro, è stata scossa da uno tsunami giudiziario lo scorso maggio, all’indomani del rinnovo delle cariche sociali che avevano decretato la riconferma del giovane presidente uscente Dino Mazzotta.

Le forze dell’ordine hanno notificato 11 avvisi di garanzia, uno dei quali proprio al presidente. Due i filoni d’inchiesta avviati dal pm Carmen Ruggiero: estorsione aggravata da metodo mafioso, con riferimento alle operazioni di voto e riciclaggio, sulla scorta dell’acquisizione di conti sospetti, nei quali troppi zeri non collimavano con la situazione di sofferenza dei titolari.

L’indagine è ancora in corso, nel frattempo Bankitalia ha fatto il suo: attività ispettiva, gestione provvisoria e commissariamento.

Da lì la levata di scudi della parte sana della banca contro la possibilità che la ex cassa rurale potesse scivolare nelle maglie di un meccanismo troppo grande, a discapito del territorio, dei creditori, e di una mission differente da quella dei grandi colossi del sistema finanziario.

Nel ricorso le motivazioni parlavano di “eccesso di potere per difetto di istruttoria da parte del ministero, omessa allegazione ed indicazione della relazione dei commissari della gestione provvisoria e del verbale ispettivo di Bankitalia, violazione del diritto di difesa” e via discorrendo.

Il Tar del Lazio, presidente Francesco Corsaro, consigliere Vincenzo Blanda ed estensore Achille Sinatra, alla richiesta di annullamento del decreto con cui il 29 dicembre scorso è stato disposto lo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo del Credito Cooperativo, ha risposto che “le censure dedotte in ricorso non paiono assistite da elementi di fondatezza”.

Questo in quanto, per ciò che concerne i vizi della fase istruttoria “nel decreto di scioglimento il ministro dell’Economia può limitarsi a richiamare le valutazioni della Banca d’Italia” e non pare esulare dalla dizione normativa del testo Unico Bancario “’l’accertamento dei fatti puntualmente elencati nel paragrafo 2.1 della relazione del 23.12.2014 cui rimanda il decreto impugnato, legati a movimenti di capitali riconducibili alla criminalità organizzata”.

Fin qui le carte bollate.

Ora si attendono risposte sul futuro prossimo dell’istituto di credito, non solo per lo sviluppo dell’inchiesta in atto, ma soprattutto per il forte potere discrezionale della Banca d’Italia che può decidere in totale autonomia di far decadere quadri dirigenti, presidenti e altre pedine  quando “la permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione”.

Grande potere, grande responsabilità, grosse conseguenze e un giudizio in fondo insindacabile che genera non poche inquietudini e interrogativi.

A fronte delle situazioni difficili venutesi a creare in grosse realtà bancarie, come Monte dei Paschi di Siena e Banca Carige, che non sono state bloccate per tempo, con gravi pregiudizi per i risparmiatori, fanno scuola i casi degli istituti minori che, sotto la mannaia dell’Autorithy, rischiano di perire, essere inglobati in realtà più grandi, che li depauperano dello spirito di prossimità e territorialità che li contraddistingue e ancora crea un qualche collegamento con i risparmiatori.

Fa scuola il caso della Banca Popolare di Spoleto, commissariata e poi riabilitata, a febbraio, dal Consiglio di Stato con una sentenza choc: il Ministero avrebbe dovuto procedere ad autonoma istruttoria senza affidarsi in via esclusiva, al lavoro degli ispettori della Banca d’Italia.

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