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La lotta alla corruzione si fa solo sul fronte istituzionale

Di fronte ad episodi di degenerazione, corruzione e malcostume nell’esercizio del potere, l’introduzione di nuovi lacci e lacciuoli, controlli e controllori, così come pure l’inasprimento delle sanzioni nell’ottica della definizione di una legislazione anticorruzione sempre più estesa e pervasiva, sembra essere diventato il mantra di qualsiasi riforma che interessi il settore pubblico. In altri casi, invece, sempre nell’ottica di una risposta immediata, sebbene spesso poco lungimirante, la panacea di tutti i mali sembra essere diventato il ricorso a rassicuranti paladini della legalità chiamati al vertice di istituzioni che, loro malgrado, nonostante le buone intenzioni, persistono nell’operare sulla base dei medesimi meccanismi opachi che lasciano spazio ad arbitri e discriminazioni a danno dei più deboli. In tutti i casi si tratta di una prospettiva insufficiente, che sconta un’inaccettabile rassegnazione sia sul fronte dell’ecologia umana che su quello istituzionale.

Papa Francesco ci ha recentemente ricordato che “i cristiani sono i germogli di un’altra umanità’. Quest’altra umanità che i cristiani sono chiamati a far germogliare sulla terra, ci svela quanto la via dello sviluppo, in una società sempre più poliarchica e complessa, spesso priva di punti di riferimento morali, richieda certamente un’ecologia umana quale barriera contro ogni forma di corruzione nell’esercizio del potere e, più in generale, di qualsiasi forma di dominio degli uomini su altri uomini. A dieci anni dalla morte di Giovanni Paolo II, le riflessioni su questi temi contenute nella Centesimus Annus ed il richiamo all’inclusione sociale contenuto nell’Evangelii Gaudium ci spingono a farci portatori di una visione del potere come servizio, capace di promuovere l’inclusione sociale degli ultimi e, per questa via, di promuovere lo sviluppo umano integrale.

Il problema non è però mai il potere in sé, bensì le regole che ne governano i processi di appropriazione e di gestione del consenso, oltre ovviamente a come esso viene esercitato. Il problema interroga dunque in prima battuta la sfera etica ma, nello stesso tempo, richiede soluzioni sul piano strutturale e, quindi, istituzionale.

La corruzione, anteponendo sistematicamente l’interesse di pochi e la tutela delle rendite di posizione alla ricerca del bene comune, incide sul corretto funzionamento delle istituzioni politiche ed economiche producendo una sottocultura che si traduce in un ordine sociale a sua volta corrotto, che compromette lo sviluppo materiale, sociale e spirituale di un popolo provocando ingiustizie e povertà. Quando ciò accade, quando cioè l’egoismo e la sopraffazione dei più deboli divengono i principi cardine su cui si regge la convivenza sociale in quello che chiamiamo il circolo vizioso delle istituzioni estrattive, è la persona a rimanerne ostaggio, provocando in essa rassegnazione e umiliazione.

Una simile disumanizzazione dei meccanismi di convivenza tra gli uomini non può essere né accettata, né tollerata. Contro di essa occorre promuovere una ricetta che coltivi, nello stesso tempo, una dimensione individuale e ad una istituzionale. Il riferimento a quest’ultima è decisivo, poiché le istituzioni non sono eticamente e culturalmente neutre ma riconducibili alle idee e agli ideali iscritti nella cultura civile di un popolo. La sfera istituzionale, infatti, si lega indissolubilmente a quella individuale, completandola e rafforzandola; nello stesso tempo, il rafforzamento di quella individuale richiede istituzioni in grado di promuoverne la trasformazione in un solido ordine sociale capace di fare da argine alla corruzione e ad ogni forma degenerativa del potere.

In questo senso occorre promuovere l’adozione di un modello istituzionale inclusivo, democratico e aperto, che favorisca la partecipazione ai processi decisionali e la contendibilità delle opportunità quale efficace strumento di contrasto alla corruzione e presupposto stesso di un’ecologia umana.

I mali di un sistema politico post ideologico, ostaggio più o meno consapevole di interessi economici e smanie di potere di (piccoli) leader di partiti, sigle e correnti e dei loro faccendieri, nonché, di quelle ampie zone grigie della normativa pubblicistica in cui si annidano prassi amministrative scorrette, dove permeano interessi che nulla hanno a che vedere con l’interesse pubblico ed in virtù delle quali vengono accettati comportamenti scorretti degli operatori economici cui conseguono dinamiche corruttive che si ripercuotono sulla spesa pubblica, possono perciò essere affrontati efficacemente solo sul piano delle regole costituzionali, affrontando il nodo dei rapporti (spesso incestuosi) tra politica e amministrazione, dei confini dell’intervento pubblico e della discrezionalità amministrativa.

Se questa è dunque la dimensione del problema, è illusorio pensare che il mero ricorso a figure evocative, o la demonizzazione di qualsivoglia dinamica negoziale della pubblica amministrazione, o la rotazione degli incarichi dirigenziali, a danno del principio del buon andamento, o ancora la creazione di un’anagrafe online di incarichi, nomine e fornitori, possano rappresentare di per sé risposte convincenti.

In questo quadro, la cultura del servizio e degli antidoti di natura istituzionale contro qualsiasi forma di degenerazione del potere, propri della tradizione del magistero sociale della Chiesa, possono rappresentare invece il terreno ideale su cui giungere alla definizione di un nuovo equilibrio costituzionale nei rapporti tra politica e amministrazione, tra settore pubblico e società civile. Sono tematiche che la seconda Repubblica avrebbe dovuto affrontare e risolvere definitivamente e che sarebbe un errore oggi relegare nel solo ambito della corruzione o delle scelte individuali.

Per affrontare le criticità istituzionali non servono scorciatoie mediatiche e riforme ad effetto, bensì un ampio e coerente progetto di riforma costituzionale teso a rendere finalmente inclusivo il nostro sistema democratico. A coloro ai quali stanno a cuore le sorti del Paese spetta, perciò, la responsabilità di saper riportare al centro del dibattito pubblico l’idea del potere come servizio e, quale suo corollario, quella per cui lo sviluppo economico del Paese passa oggi più che mai dall’inclusione sociale.


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