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Ecco la partita che la Cina sta giocando al Wto

La Cina vuole ricreare l’antica Via della Seta: un collegamento via terra (con la ferrovia), via mare e forse anche via aria tra l’ovest della Cina, i Paesi dell’Asia centrale e l’Europa, con un ruolo chiave anche per l’Italia. Per realizzarla, ha bisogno della cooperazione di tutti i Paesi interessati dal collegamento e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha appena rinnovato il suo appello all’Europa a rafforzare i legami commerciali con la Cina: “L’enfasi [della politica estera cinese] sarà la promozione delle connessioni infrastrutturali e la costruzione di corridoi economici terrestri e di pilastri per la cooperazione marittima”, ha dichiarato ai margini di una sessione plenaria del 12mo Congresso nazionale del popolo.

BELT AND ROAD, OVVERO LA NUOVA VIA DELLA SETA

Per la Cina il cosiddetto progetto del “belt-and-road è diventato una delle priorità strategiche e nasce da una precisa volontà del presidente cinese Xi Jinping di connettere l’Asia e l’Europa. Da un lato ci sono i collegamenti terrestri dalla regione dello Xi’an nel nord-ovest della Cina attraverso l’Asia centrale, Iran, Iraq, Siria e Turchia, per poi passare per il Bosforo e raggiungere l’Europa nord-occidentale, passando per Germania e Paesi Bassi, fino all’Italia; dall’altro c’è il collegamento marittimo che si estende dalla Cina attraverso l’Oceano Indiano, intorno all’Africa e fino al Mediterraneo, dove si ricongiunge con i collegamenti stradali e ferroviari. Ma non solo: la Cina non esclude lo sviluppo anche dei collegamento via aria tra i Paesi dell’Asia centro-orientale e quelli europei, come indicato da Yang Guoqing, vice-ministro dell’Amministrazione generale e dell’Aviazione civile della Cina.

40 PAESI DA UNIRE

L’Asia centrale rischia di cadere preda di povertà, isolamento e terrorismo, ma la strategia per ricostruire l’antico collegamento tra Asia e Europa può ribaltare questa situzione. Questa la posizione della Cina sul progetto della New Silk Road, che fa leva su un precedente “Eurasian Continental Bridge”. Questo “ponte” attraversa la Cina per 4.131 chilometri in Cina, in regioni essenziali per la produzione di energia e materie prime. L’intera linea ferroviaria della Silk Road misura invece 10.900 km; la Cina l’aveva già inaugurata nel 1992 ma non è mai stata pienamente sfruttata. Attualmente la maggior parte delle merci cinesi dirette in Europa viene trasportata via mare.

La ferrovia è più veloce, sostengono i cinesi, ma va superata una serie di barriere tecniche, comprese le diverse dogane e tassazioni. Ci sono oltre 40 diversi Paesi asiatici ed europei lungo la nuova Via della Seta: per la Cina il compito di stringere accordi commerciali favorevoli con tutti non è facile, anche se esistono strumenti come la Asia-Europe Conference e la Shanghai Co-operation Organization da cui Pechino si aspetta risultati.

“Siamo sicuri che l’iniziativa ‘belt-and-road’ conquisterà sempre più consensi e produrrà subito dei frutti rivitalizzando il continente Eurasiatico nel suo complesso”, ha dichiarato il ministro Wang. Ma il progetto non assomiglia al Piano Marshall con cui gli Usa hanno investito miliardi nell’Europa post-bellica? Wang ha negato: “Questo è un prodotto di una cooperazione inclusiva, non uno strumento di geopolitica, non va letta nell’ormai datata mentalità della Guerra fredda”.

UN NUOVO STATUS PER LA CINA NEL WTO

Le dichiarazioni del ministro degli Esteri Wang arrivano mentre la Commissione europea si prepara a una possibile revisione dello status dell’economia cinese all’interno del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. La Cina è stata classificata come non-market economy quando fu ammessa nel 2001, ma è possibile che sia “promossa” allo status di market economy (MES) l’anno prossimo. Non si tratta di pura formalità: lo status di MES nel Wto ha un impatto sul livello di sanzioni che si possono imporre, per esempio nel caso di dumping commerciale per i Paesi classificati come non-market economy le multe sono più alte. Tuttavia non esiste una posizione unica del Wto; ogni Stato membro deciderà autonomamente e per ora la Commissione europea ha fatto sapere che la Cina “non soddisfa tutti i criteri per essere ammessa come MES”.

CHI VUOLE AVVICINARSI ALLA CINA

Secondo gli osservatori del mondo economico, se l’Europa da un lato potrebbe essere frenata da considerazioni di ordine politico o umanitario, dall’altro potrebbe essere portata ad abbracciare il progetto cinese da forti motivazioni di business. Le aziende europee desiderano attrarre i copiosi investimenti cinesi, soprattutto nella digital economy. “E’ chiaro che i veri concorrenti dell’economia digitale per l’Europa verranno dall’est e soprattutto dalla Cina”, secondo un commento di Robert Atkinson, fondatore della Information Technology and Innovation Foundation (think tank di Washington), e di Paul Hofheinz, presidente del think tank di Bruxelles The Lisbon Council. “Se l’Unione europea e gli Stati Uniti non collaborano per arginare la Cina su questo fronte, rischiano di lasciare il campo aperto a un regime regolatorio basato su principi che contrastano palesemente con i valori fondamentali condivisi dalle due maggiori economie dell’Occidente”, scrivono Atkinson e Hofheinz.

LE OPPORTUNITA’ PER L’EUROPA E IL RUOLO DELL’ITALIA 

Il sinologo francese, che vive a Shanghai, David Gosset, direttore dell’Academia Sinica Europaea e della China Europe International Business School (Ceibs), nonché fondatore dell’Euro-China Forum, si è espresso in toni entusiastici sull’Huffington Post a gennaio riguardo alla strategia cinese della “nuova Via della Seta”.

L’azione diplomatica di Xi “ha il vantaggio di mettere la regione occidentale della Cina, lo Xinjiang, un sesto del territorio cinese, di fatto al centro del continente eurasiatico. Progetti infrastrutturali, commercio, innovative alleanze pubblico/private trasformeranno la più occidentale delle regioni cinesi in una piattaforma internazionale e la avvicineranno a Shanghai, Turchia e Europa”, scrive Gosset. L’Unione europea è il primo partner commerciale della Cina e mostrerebbe “cecità strategica” chiudendo le porte a Pechino. “Sostenuta da massicci investimenti finanziari che vengono dall’Asian Infrastructure Investment Bank e dal Silk Road Fund“, la nuova Via della Seta è un simbolo della Cina del 21mo secolo e rappresenta “una storica opportunità” per tutta l’Eurasia. E se qualcuno pensa che l’iniziativa della Cina si collochi in termini geopolitici come risposta ai rinnovati legami degli Usa nell’Asia-Pacifico, per Gosset la nuova Via della Seta non è uno schema per contrastare altre forze politiche. Gosset ammette tuttavia che possa essere letta come “un Piano Marshall con caratteristiche cinesi, che rassicura i Paesi vicini, contribuisce alla loro crescita e li inserisce in un sistema disegnato da Pechino”.

“Il nuovo trio dell’Ue, Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, e Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, dovrebbe dare risposta adeguata all’iniziativa della New Silk Road. Altrimenti l’Ue resterà isolata da un vasto trend che comunque cambierà l’Eurasia”, conclude Gosset. L’Italia, dove la Via della Seta ha un “significato speciale”, può contribuire a spingere l’Ue verso il progetto cinese.

IL WSJ: UN PROGETTO “IMPROBABILE”

Ben diversi i commenti del Wall Street Journal: le manifestazioni di potenza economica e diplomatica della Cina e le sue incursioni verso ovest sarebbero un segno di debolezza. “Il Pacifico è disseminato di pericoli per la Cina”, scrive il Wsj; “la Cina si sente strangolata dalle tante alleanze militari americane che si estendono dalla Corea del Sud al Giappone alle Filippine e all’Australia. La Marina militare americana è ancora padrona dell’area”.

Pechino rischia anche di trovarsi fuori dai giochi economici della regione: il presidente Barack Obama è molto impegnato nella definizione della Trans-Pacific Partnership, un accordo per il libero commercio tra 12 nazioni che coprono il 40% del Pil globale e che esclude la Cina. “Perciò il presidente Xi si rivolge all’Eurasia”, sostiene il Wsj, ma il suo è “un improbabile piano per riaprirsi un ingresso verso l’Europa attraverso l’Asia centrale, un’epica lotta contro distanze enormi e condizioni geografiche e climatiche ostili. La logistica è troppo complicata”.

Tuttavia il presidente Xi ha già investito 40 miliardi di dollari nel Silk Road Fund per linee ferroviarie e altre infrastrutture lungo il percorso e l’elemento che gioca a vantaggio della Cina è che, mentre il Pacifico ricade ancora sotto il controllo degli Usa, l’Asia centrale, con il vuoto di potere seguito alla fine dell’Unione sovietica, è una facile preda. “Kazakhstan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Turkmenistan gravitano politicamente nell’orbita del Cremlino, ma il loro futuro economico è con la Cina”, ammette il Wsj.

LE INCOGNITE

Già l’anno scorso il Financial Times sottolineava le difficoltà insite nel progetto cinese, tra questioni logistiche e geopolitiche.

Ora Forbes ribadisce che, se in via generale la nuova Via della Seta appare come un utile contributo al business di tante aziende dell’Eurasia, nella pratica i benefici non sono chiari. “E’ un annuncio che fa effetto”, dice Daniel Tobin del China Institute, School of Oriental and African studies, University of London. “Ma il grosso problema sarà l’attuazione del piano”.

Dal punto di vista politico, la Cina “vuole dimostrare di essere amica di tutti i Paesi, specialmente i suoi vicini”, osserva He Liping, professore at the School of Economics and Business Administration della Beijing Normal University. Ma le direttrici della nuova Via della Seta attraversano territori controllati da altre potenze: “Sulla rotta terrestre, la Russia sarà sicuramente preoccupata dalle mire di espansione della Cina in Asia centrale”, nota Song Gao, Managing Partner della PRC Macro Advisors a Pechino. “E per la rotta marittima, la Cina deve passare per l’Oceano Indiano e l’India potrebbe sentirsi minacciata“.

Tanto è vero che l’India sta sviluppando un suo progetto strategico per la sua area di influenza, chiamato Project Mausam e che è stato letto da molti come la risposta indiana alla New Silk Road cinese.


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