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Bpm, Ubi, Vicenza. Cosa ribolle nel pentolone delle Popolari

Ipotesi fondazioni bancarie nel capitale. Pour parler su fusioni prima della trasformazione in società per azioni. Progetti sindacali per sventare la prospettiva di perdita di potere negli istituti. Piani di banche d’affari per trovare soluzioni per i crediti deteriorati, anche attraverso cartolarizzazioni. Mentre sullo sfondo resta la tentazioni di alcuni presidenti di banche popolari interessate alla riforma Renzi dei dieci maggiori istituti a ricorsi giudiziari accampando incostituzionalità del provvedimento nel frattempo diventato legge e per l’omessa consultazione della Bce prevista in questi casi, come sottolineato dallo stesso Istituto centrale di Francoforte nel parere positivo firmato dallo stesso presidente Mario Draghi sull’intervento normativo voluto dal governo.

E’ questo quello che bolle nel pentolone delle dieci maggiori banche popolari, investite dalla riforma dell’esecutivo che ha imposto entro 18 mesi la trasformazione in società per azioni, dunque superando il principio del voto capitario per aprire sempre più al mercato e gli investitori anche esteri il capitale delle banche popolari che hanno attivi superiori agli 8 miliardi di euro.

IPOTESI FONDAZIONI

Fuori dal capitale delle banche di credito cooperativo. Dentro invece a quelle popolari. E’ questa la direzione di marcia strategica dell’Acri, l’associazione che riunisce le fondazioni bancarie. Si accreditato a livello sistemico dunque le indiscrezioni che da tempo circolano sulla possibilità da parte degli enti creditizi, che dovranno peraltro diversificare gli investimenti anche sulla base di un accordo stipulato con il ministero dell’Economia che ha sventato con tutta probabilità un intervento normativo come quello sulle Popolari, di intervenire nel capitale sociale delle maggiori banche popolari alle prese con la riforma Renzi, che ha innescato di fatto un risiko tra gli istituti del settore. Ecco le parole che ieri ha pronunciato il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti: “Escludere che le fondazioni mettano soldi nelle Bcc”, mentre “nelle popolari questa possibilità esiste, non è da escludere”, ha detto a margine della audizione alla Commissione Finanze del Senato.

RISIKO IN ATTO

“Fusione Banco-Bpm? Non è impossibile”. Parola dell’amministratore delegato del Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti. Saviotti lo ha detto lo scorso fine settimana a margine dell’assemblea che ha approvato il bilancio 2014 chiuso con un miliardo 945 milioni di euro di perdita. Per ora, comunque, la creazione di quello che potrebbe risultare il quarto soggetto bancario italiano alle spalle di Intesa, Unicredit e Mps, con circa 175 miliardi di attivi, rimane solo sulla carta. Per quanto la soluzione Popolare di Milano sia quella su cui più scommettono gli analisti, oltre che la preferita dall’istituto scaligero, per i vertici dello stesso Banco le ipotesi non finiscono con la Milano. Una strada secondaria, come ha scritto il Sole 24 Ore, la porta ad esempio a Brescia, qualora Ubi non si rivelasse quel cavaliere bianco del Monte dei Paschi Siena, come ritengono molti osservatori. “Ubi non è assolutamente da escludere ed è un’altra possibilità che può esserci”, ha detto Saviotti. Intanto in Veneto si dice che sia quasi fatta. Cosa? Banca Popolare di Vicenza si prepara alla trasformazione in società per azioni e contestualmente alla fusione con Veneto Banca. L’obiettivo è stato esplicitato con queste parole dal numero uno della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin: “Auspico che gli amici di Montebelluna raccolgano il nostro invito affinché possiamo fare assieme una grande banca del Veneto, continuando ad operare con azioni sul territorio nonostante la trasformazione in spa”.

PROGETTO SINDACALE

In vista delle operazioni di fusioni e acquisizioni, dipendenti e sindacati delle grandi banche popolari studiano nuove forme di coinvolgimento nelle future società per azioni per evitare di vedersi ridimensionati. Il primo soggetto a muoversi in questa direzione potrebbe essere la Uilca, la sigla nazionale guidata da Massimo Masi, e la prima banca teatro delle manovre sarebbe la Popolare di Milano, ha scritto ieri il quotidiano MF/Milano Finanza. Mercoledì prossimo, 22 aprile, il direttivo Bpm della Uilca dovrebbe infatti dare l’avallo a un think tank allargato alle altre grandi banche cooperative e dedicato esplicitamente al progetto. In altri termini, dipendenti, professionisti e docenti universitari cercheranno di mettere nero su bianco un progetto dettagliato da condividere in un secondo momento con i vertici delle banche e le Autorità di vigilanza. L’idea allo studio, secondo MF, “sarebbe quella di dar vita a un contenitore, nella forma di cooperativa o fondazione, che sia socialmente utile ai dipendenti e che al contempo partecipi alla governance e probabilmente anche all’azionariato della futura spa. Si tratterebbe insomma di una riedizione del progetto elaborato per la Popolare di Milano sotto la presidenza di Andrea Bonomi e rispolverato alla fine dello scorso anno dalle sigle sindacali nazionali”. La discussione su un progetto di questo genere potrebbe infatti trovare terreno fertile anche in altri gruppi, da Ubi Banca, alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna, passando anche per il Banco Popolare, dove storicamente il peso dei dipendenti è sempre stato piuttosto limitato.

PIANO PER LE SOFFERENZE

In questo scenario si inseriscono anche le banche d’affari che con gli istituti del settore cercano di trovare soluzioni per gli stock di sofferenze. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, la banca di investimento milanese Akors guidata da Marco Turrina starebbe lavorando a un progetto di gestione esternalizzata dei non performing loans di sei-sette istituti di medie dimensioni, prevalentemente cooperativi. L’architettura generale del progetto appare simile a quella elaborata negli anni scorsi da Mediobanca   da Rothschild, pur con alcuni importanti elementi di novità. Se la strategia messa sul piatto da Banca Akros piace a molti istituti – scrive Luca Gualtieri di MF – “altri soggetti preferiscono muoversi in autonomia. C’è ad esempio Veneto Banca che potrebbe affidare in gestione un robusto portafoglio di crediti immobiliari. Fonti di mercato parlano di un valore nominale di partenza compreso tra 300 e 400 milioni, anche se la stima non trova al momento conferme ufficiali”.

DOSSIER CARTOLARIZZAZIONI

Secondo fonti di mercato, sotto la regia dell’Iccrea, la banca di secondo livello che gestisce le partite più delicate della categoria, potrebbe presto arrivare sul mercato un’operazione di cartolarizzazione per un valore nominale stimato in 5-600 milioni, probabilmente in più tranche, ha aggiunto MF: “Sempre nel mondo delle cooperative del credito si guarda al Banco Popolare, che lo scorso anno aveva congelato la cessione di Release. Verona potrebbe riprendere presto in mano il tema dei non performing loans e, tra le opzioni sul tavolo, ci sarebbe l’esternalizzazione della gestione operativa di alcuni stock non-core, secondo un modello già sperimentato per esempio da Intesa Sanpaolo e Mps. Una soluzione di questo genere potrebbe piacere anche alla Bper, mentre Ubi Banca potrebbe orientarsi verso cessioni mirate dall’importo di qualche decina di milioni”.


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